55° capitolo

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Era trascorsa ormai una settimana dal momento in cui Lorenzo era ufficialmente tornato alla vita.

Mai come in  quegli ultimi sette giorni ero stata consapevole di quanto fossi fortunata.

La mia migliore amica mi aveva riportato Mattia il giorno dopo il risveglio di Lorenzo. Era stato incredibile vedere come quel bambino si fosse divertito, nonostante a pochi chilometri di distante ci fosse suo padre in punto di morte.

Ogni tanto anche io rimpiangevo l'ingenuità dei bambini, quella loro felicità innata, la tendenza a vedere il positivo in ogni cosa.


Giravo per la stanza d'ospedale nella quale dormiva Lorenzo, con in braccio Mattia.

Lo portavo avanti e indietro per la stanza, dicendogli all'orecchio frasi del tipo: "ma l'hai visto papà? Hai visto quant'è bello?"

Lorenzo dal canto suo stava facendo netti miglioramenti: la ferita si stava cicatrizzando, il battito del cuore era tornato completamente regolare, e diminuirono nettamente anche la quantità di medicinali che gli venivano somministrati ogni giorno.

Dopo un'attenta visita da parte del medico della squadra, fu stabilito che Lorenzo avrebbe potuto ricominciare a giocare, anche se dopo un stop molto lungo, che si aggirava intorno ad un anno.

Lorenzo fu triste all'idea di dover trascorrere dodici mesi lontano dal suo amato campo da calcio ma, sinceramente, a me poco importava.

Forse ero egoista, anzi sicuramente, ma in quel momento mi bastava averlo vivo, accanto a me.

La lontananza dal calcio, sport che tra l'altro l'aveva quasi condotto alla morte, era l'ultimo dei miei problemi.


Durante i giorni in cui Lorenzo rimase in ospedale, ricevette regali da un'infinità di fan, che avevano pensato di inviargli qualsiasi tipo di oggetto per rendere il suo soggiorno più gradevole.

Non mancavano inoltre lettere di adolescenti invasate che dichiaravano di amarlo alla follia, e di aver sofferto terribilmente nel vederlo cadere a terra quella sera, che ormai mi sembrava così lontana.

Con tutto il rispetto, per quanto loro potessero aver sofferto nel vedere quella scena, nessuno come me, Federico, e i genitori di Lorenzo, avrebbe mai potuto capire che cosa era significato vedere quel meraviglioso ragazzo sul punto di morire.

Soprattutto io che quella sera, chinandomi su di lui in lacrime, mi ero ritrovata il suo stesso sangue sulle mani.

Sangue che mai avrebbe dovuto essere versato.


Un paio di giorni dopo ci comunicarono che avrebbero dimesso Lorenzo.

I medici mi fecero un sacco di raccomandazioni: mi dissero che avrebbero mandato un'infermiera per medicare la ferita una volta al giorno, e che mai avrei dovuto tentare di farlo da sola (e mai ci avrei provato sinceramente, a meno che non volessi ardentemente provare l'emozione di svenire).

Fu così che tornai a casa, per poi fare ritorno all'ospedale con il nostro amato SUV Lamborghini, per riportare Lorenzo alla vita normale.

Quando fummo finalmente a casa, ormai verso sera, fu stranissimo.

Erano trascorsi quasi dieci giorni dall'ultima volta che avevamo varcato insieme quella soglia.... mai quella volta avremmo immaginato di dover attendere così tanto tempo per farlo di nuovo.

Tutto era silenzioso, era rimasto esattamente com'era, come se la tragedia di cui eravamo stati protagonisti, fosse avvenuta in un altro mondo, in un'altra vita.


Lorenzo si sedette comodamente sul divano a giocar alla play (vizio che a quanto pare non aveva perso), mentre io ordinavo la cena e preparavo la tavola.

Ogni tanto alzavo lo sguardo e lo osservavo, quasi incredula che fosse andato tutto bene.

Avevo sofferto così tanto in quei giorni che mi era sembrata quasi inconcepibile l'idea di poter essere nuovamente felice.

Eppure lo ero.

Nulla in quel momento era più bello di vedere Lorenzo seduto sul divano, con in braccio Mattia.

Nonostante nostro figlio avesse poco meno di un anno, era incredibile come potessero già somigliarsi.


Non appena ci fu consegnata la cena, ci sedemmo a tavola.

"Amore?", mi disse Lorenzo mentre addentavo una fetta di pizza.

"Dimmi", gli dissi, posandola.

"Mentre ero... in coma... ti ho sentita"

Lo sguardo interrogativo che mi si dipinse sul volto dimostrò il fatto che quei giorni nella mia mente non erano altro che un'enorme confusione.

Lorenzo sorrise nel vedere la mia perplessità, quindi proseguì: "ti ho sentita parlarmi, e cantare Maps"

"Oddio, sul serio?". Che domanda stupida. Era ovvio che era serio, altrimenti come avrebbe fatto a conoscere la canzone che gli avevo cantato?

Un sorriso mi si dipinse sul volto. Ciò voleva dire che mio marito mi era sempre stato accanto, che non aveva mai smesso di ascoltare ciò che dicevo.

"Non avrei mai potuto abbandonarvi", mi disse poi. "Vi amo troppo... siete tutto quello che ho"

Quelle parole mi fecero scendere una lacrima lungo una guancia.

Proprio in quel momento, Mattia emise un suono, che pareva essere una parola.

La sua prima parola, più precisamente.

"Cos'hai detto?", chiedemmo io e Lorenzo in coro, girandoci verso di lui come se potesse effettivamente risponderci.

Dopo un instante che parve interminabile, Mattia ripeté ciò che aveva appena pronunciato:

"pa.... pa"

"HA DETTO PAPA'", disse Lorenzo.

Annuii sorridendo... aveva detto papà.

Nostro figlio parlava.

Mi diressi verso di lui e lo baciai su quei suoi bellissimi capelli biondi, identici a quelli del padre.

Mentre stringevo la mano di Mattia, Lorenzo posò la sua sopra le nostre.

Osservai quell'incrocio di mani.

Era l'immagine di tutto ciò che avevo, di tutto ciò che più amavo.


Lorenzo Chiesa || la prova che il destino esisteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora