La notte passò.
Non so perchè ma nella mia mente ero convinta che con il sorgere del sole tutto sarebbe andato per il meglio, che anche il buio delle nostre vite sarebbe scomparso, eppure non accadde nulla.
Lorenzo non migliorava e nemmeno peggiorava. I medici continuavano a ripetermi che purtroppo era ancora in pericolo di vita.
Io, Federico e i genitori di Lorenzo, ci eravamo addormentati su delle sedie che si trovavano direttamente di fronte alla stanza di Lorenzo, e di conseguenza alla vetrata che la sovrastava.
Dormii sì e no un'ora. Nei momenti in cui non avevo la fronte appoggiata sul vetro nella speranza che la mia vicinanza potesse indurre Lorenzo a svegliarsi di colpo, a dimostrare ai medici che si sbagliavano, e che non era in pericolo di vita, ero costretta a rispondere a messaggi e telefonate di parenti e amici che avevano visto la partita, e ovviamente anche tutta la scena annessa.
Chiesi alla mia migliore amica di tenere Mattia a casa sua, e di non portarlo da me in ospedale: non sopportavo l'idea che in qualche remoto angolo della sua mente potesse esserci sempre l'immagine di suo padre, steso su un letto d'ospedale, tra la vita e la morte.
Quando Federico si svegliò, insistette per accompagnarmi al bar dell'ospedale per prendere almeno un caffè. Controvoglia lo seguii.
Fu il primo vero contatto con il mondo che ebbi da quando ero entrata in quel maledetto ospedale.
Per un istante, osservando la hall, vidi di fronte a me le immagini dell'altra volta in cui io e Lorenzo avevamo attraversato quella stanza: il giorno in cui avevo partorito Mattia.
Federico si accorse che mi ero fermata, a contemplare il vuoto, e che i miei occhi si stavano riempiendo di lacrime.
Mi trascinò verso il bar afferrandomi un braccio, e ordinò un caffè espresso molto forte.
Quando lo sorseggiai constatai che di certo l'ospedale non era il luogo più indicato per assaporare un caffè di qualità, comunque in quel momento poco sarebbe cambiato.
Quando ritornai in quel famigerato corridoio, che per tutta la notte era stato la mia casa, trovai ad attendermi due Carabinieri.
"Buongiorno", mi dissero, sorridendomi leggermente per mettermi a mio agio, ma allo stesso tempo temendo che quel gesto potesse essere fuori luogo.
Ricambiai il saluto.
"Possiamo solo immaginare quale dolore lei stia attraversando in questo momento, ma purtroppo siamo costretti a farle qualche domanda", mi disse uno di loro.
L'altra, una donna, aggiunse: "naturalmente se in questo momento non ce la fa, possiamo ritornare più tardi..."
Scossi la testa. "Risponderò ora", dissi.
Mi fecero accomodare su una delle sedie del corridoio e iniziarono con le domande.
"Lei certamente saprà che suo marito è in queste condizioni perchè qualcuno gli ha sparato"
Annuii, e dentro di me pensai: "come cacchio potrei non saperlo?"
"Abbiamo varie ipotesi riguardo a chi potrebbe essere il soggetto che ha sparato... per caso suo marito ha dei nemici?"
Ci pensai qualche istante, ma non potevo nemmeno immaginare che qualcuno potesse odiarlo tanto da volerlo morto. Sollevai leggermente lo sguardo, e scorsi dietro al vetro quei suoi meravigliosi capelli biondi, dolcemente posati sul cuscino.
Ma sul serio qualcuno poteva volerlo morto?
Trassi un profondo respiro. "Non mi pare... certo sicuramente ci sono persone che non lo sopportano, ma non a livello di volerlo uccidere"
Annuirono. "Per caso si comportava in modo strano negli ultimi giorni? Faceva cose che di solito non fa, oppure si dimostrava preoccupato per qualcosa in particolare?"
Scossi la testa. "No, non mi pare... era sempre il solito". Nel dirlo la mia voce si incrinò leggermente, fui lì lì per mettermi nuovamente a piangere, ma mi trattenni.
"Allora signora, siamo praticamente certi che questo caso si tratti di fanatismo calcistico"
Annuii. Era ovvio. Il calcio era meraviglioso, eppure spesso c'era il rischio che si potesse trasformare in odio.
Lorenzo in passato era già stato vittima di insulti molto pesanti... ormai ne era abituato, eppure nella mia mente mai si era palesata l'idea che qualcuno volesse addirittura ucciderlo perchè giocava in una squadra avversaria.
Chiusi gli occhi. Era il movente più inutile di questo mondo, Lorenzo non poteva... non doveva, morire per questo.
I due Carabinieri se ne andarono, salutandomi e esternando tutto il loro appoggio in quella situazione.
Così rimasi lì, sola, con Federico al mio fianco, a fissare Lorenzo che lottava tra la vita e la morte, al di là di quel maledetto vetro.
"Fede?", gli dissi.
"Dimmi"
"Io non sono pronta a vederlo morire. Come faccio con Mattia? Non può crescere senza padre... non ce la farò mai a crescerlo da sola. E come faccio io? Non posso vivere senza di lui... non ce la farei mai"
Federico mi abbracciò, lasciando che posassi il mio volto nell'incavo del suo collo.
Per un fugace istante mi parve di trovarmi al sicuro tra le braccia di Lorenzo. Cercai di trattenere quelle sensazioni, eppure se ne andarono, veloci come erano arrivate.
"Vedrai che ce la farà... Lori è forte... ti ama, e sa di non poterti abbandonare"
"Ma se non ce la facesse?", gli chiesi, con gli occhi inondati di lacrime.
"Io, mamma, papà, i tuoi genitori, i compagni di squadra di Lorenzo, i tuoi amici, saremo sempre al tuo fianco, non ti lasceremo mai sola, mai"
"e Mattia? Cosa ne sarà di lui? Cosa potrei dirgli, quando si renderà conto di essere senza padre?"
"La verità"
Strinsi Federico a me, con tutte le mie forze.
Lui era l'ultimo filo di speranza a cui potevo aggrapparmi.
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Lorenzo Chiesa || la prova che il destino esiste
RomanceUna ragazza tra tante, in un giorno tra tanti, incontra la persona che sempre aveva sognato di incontrare. Una storia d'amore tra Lorenzo Chiesa, giovanissimo e promettente calciatore, e T/n, ragazza di quindici anni con un mare di sogni da realizza...