39° capitolo

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Quando mi svegliai ero a pezzi. Tanto per cambiare, potrei aggiungere.

Era incredibile come il volto di Lorenzo fosse stato capace di perseguitarmi anche in sogno.

Mentre facevo colazione squillò il telefono. Era mia madre.

Giusto quello che ci voleva. Le volevo molto bene, ma parlare con lei quando ero giù di morale non era mai stata una cosa molto rilassante.

"Pronto?", chiesi, cercando di mantenere una voce lucida e di mascherare il fatto che non avevo fatto altro che piangere per le precedenti dieci ore circa.

"Ciao! Come stai?"

"Bene. Sto facendo colazione"

"Hai una voce strana. Sicura di stare bene?" Eccola là, la domanda fatidica.

"Sì mamma, sto bene. Mi sono appena svegliata quindi ho ancora molto sonno". Mentivo spudoratamente, ma non me ne importava. L'ultima cosa di cui avevo bisogno erano due genitori preoccupati per la salute mentale della loro figlia.

"Quand'è che passi a trovarci?"

"Non so, forse anche questo weekend. Ti faccio sapere". Magari qualche giorno a casa avrebbe giovato alla mia salute.


Conclusi la telefonata con mia madre qualche minuto dopo. Era stata un'impresa nasconderle tutto.

Quella mattina non dovevo lavorare: avrei iniziato dopo pranzo.

Andai quindi a fare un po' di shopping, cercando in qualche modo di nascondere a me stessa l'evidente fallimento della mia vita sentimentale.

Fui costretta ad indossare degli occhiali scuri per uscire di casa: le lacrime della notte precedente mi avevano lasciato degli occhi gonfi che certo non avevo alcuna voglia di mostrare al mondo.

Mi tenni accuratamente lontana dal centro commerciale City Life, zona in cui avevo un'altissima probabilità di trovare Lorenzo, così restai nelle vie del centro, più che altro guardando le vetrine (difficile fare shopping in negozi dove gli oggetti in vendita costano quanto me).

Quel pomeriggio al lavoro molti colleghi mi fecero domande: da qualche giorno ero molto più silenziosa e riservata del solito, e stavano iniziando a preoccuparsi per me.

Alla fine riuscii a convincerli che nella mia vita andava tutto più che bene, e che di certo non c'era nulla di preoccupante.

Chi lo sa, magari a forza di ripeterlo avrei convinto anche me stessa.

Restai in ufficio molto di più rispetto al solito, per compensare a tutto il lavoro che non avevo fatto nei giorni precedenti, mentre pensavo a Lorenzo.


Quando parcheggiai la macchina davanti al condominio in cui vivevo trassi un profondo respiro. Mi attendeva un'altra serata sola. Che gioia.

Salii le scale, ma quando giunsi al mio pianerottolo, notai che la porta del mio appartamento era leggermente aperta.

Sentii i battiti del mio cuore accelerare e il respiro farsi affannoso. Ladri? Cosa dovevo fare? Entrare?

Mi avvicinai lentamente alla porta e la scostai, in modo da vedere l'interno della mia abitazione.

Ma quello che vidi andò totalmente contro ogni aspettativa.

A terra c'erano candele e petali di rosa, mentre una luce soffusa inondava tutto l'appartamento.

Avanzai lentamente. Sentii una mano posarsi sui miei occhi, per impedirmi di vedere.

Avrei riconosciuto quella mano, quel tocco, tra milioni.

Mi bendò. Mi tolse la giacca e mi fece sedere sul divano.

"Cosa...", iniziai a dire, ma lui posò la sua mano sulle mia labbra, per impedirmi di completare la frase.

"Parlo io, non mi interrompere, per favore".

Detto questo mi prese le mani.

"Sono stato un'idiota, lo so. Mi faccio schifo per tutto quello che ti ho fatto"

Restò un attimo in silenzio, mentre dai miei occhi ricominciavano a scendere delle lacrime. Solo che questa volta lui non le poteva vedere, perché erano coperte dalla benda.

"In questi tre anni non c'è stato giorno in cui non ti abbia pensata, non ho mai fatto nulla senza immaginare ciò che mi avresti detto se fossi stata lì, con me. Solo che tu non c'eri, e l'unico responsabile di ciò ero io, e lo sono tutt'ora. Tu non sai quante volte ti ho sognata la notte, quante volte quel tuo sorriso a rischiarato le tenebre."

Fui lì lì per dire qualcosa, ma poi mi fermai per lasciarlo continuare, come mi aveva chiesto.

"So che tu sei una ragazza precisa, che ama programmare tutto al dettaglio, che pensa sempre prima di agire, eppure io ti chiedo di fare la mossa più azzardata della tua vita"

Sentii che si sollevava dal divano, che mi slegava la benda.

Ora lo vedevo, quei suoi meravigliosi occhi azzurro oceano che mi guardavano pieni di lacrime.

Si mise in ginocchio di fronte a me.

"Amore mio, mi vuoi sposare?"

Sentii il mio cuore perdere un battito, mentre il mio respiro si faceva sempre più affannoso.

Mi sarei aspettata di tutto da Lorenzo, meno che questo. Mi aveva chiesto di sposarlo.

Avevo sognato per anni quel momento, ancora prima di conoscerlo, e mai mi sarei aspettata che tutto ciò potesse accadere proprio quella sera, dopo tutto ciò che avevamo passato, dopo tutto il tempo che era trascorso.

Lo fissai a bocca aperta. Il mio sguardo cadde sui suoi capelli, sulle sue mani ancora strette nelle mie, poi sulla sua bocca, e ancora sui suoi occhi.

"Sì"

Dopo che ebbi pronunciato quella fatidica parola, Lorenzo si rialzò e mi baciò.

Era il nostro primo, vero bacio, dopo tre anni. Per la prima volta dopo mesi eravamo insieme, senza nulla o nessuno che potesse dividerci. Noi stavamo per sposarci.

Noi eravamo di nuovo noi.


Lorenzo Chiesa || la prova che il destino esisteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora