56° capitolo

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Ero seduta sugli spalti di San Siro.

Erano trascorsi ormai parecchi anni da quella volta in cui avevo visto Lorenzo cadere su quello stesso campo.

Da allora però, non avevo mai smesso di rivedere di fronte a me quella scena.

Ogni volta che vedevo Lorenzo vicino ad una porta da calcio, che fosse a San Siro come nel campo in cui portava Mattia per giocare, rivivevo quella maledetta sera.

Per me non era più stato lo stesso: il calcio ai miei occhi si era trasformato... e forse anche a quelli di Lorenzo.

Lui non aveva mai più parlato di quell'incidente... forse lui stesso provava qualcosa nel ritrovarsi in campo dopo quello che gli era successo, solo che non lo aveva mai detto, ne a me, ne a nessun altro.

Mattia, dal canto suo, era cresciuto, ed era diventato un bambino meraviglioso.

Come già previsto, trascorse assai poco tempo prima che, dopo aver imparato a camminare, iniziasse a portarsi ovunque un pallone da calcio.

Come avrebbe potuto essere il contrario?

Assomigliava in tutto e per tutto a Lorenzo, sia nel carattere sia nell'aspetto: anche lui, come il padre, aveva sulla testa una meravigliosa chioma di capelli biondi, e degli occhi azzurri come l'oceano, che in futuro avrebbero sicuramente fatto cadere in ginocchio schiere di ragazze.

Era incredibile come il tempo fosse passato: troppo in fretta, da molti punti di vista.

Mi sembrava il giorno prima quando potevo tenere in braccio Mattia, quando lo portavo in giro per Milano in passeggino.

Da un lato mi mancavano un po' quei giorni, però dall'altro era bellissimo vederlo crescere.

In realtà aveva preso anche molti lati del mio carattere: amava leggere come me, era anche studioso come me, e, inoltre, era persino permaloso come la sottoscritta.

Mattia era il miscuglio perfetto tra le nostre personalità.

Come gli anni passavano per nostro figlio, però, passavano anche per noi.

Io avevo continuato a lavorare come architetto nel mio studio nel centro di Milano, dividendo il mio tempo tra carriera e casa.

Inizialmente era stata dura conciliare entrambe le cose, ma alla fine ci avevo fatto l'abitudine, e nulla avrebbe potuto fermarmi.

Lorenzo invece, dopo l'incidente era stato lontano dai campi da calcio per parecchi mesi ma, dopo una consistente riabilitazione, era ritornato più forte di prima.

I suoi compagni lo avevano riaccolto in squadra come un fratello e, anche nei mesi in cui non giocava, erano praticamente sempre  a casa nostra per accertarsi che non gli mancasse niente.

In quei mesi feci anche amicizia con molti di loro:  ormai mi ero abituata ad averli sempre in giro per casa.

Si sa però, che raggiunto un certo limite d'età, per ogni sportivo, giunge il momento del ritiro.

Ed era proprio quello il motivo per cui mi trovavo a San Siro, con Mattia scalpitante al mio fianco: quella sarebbe stata l'ultima partita di Lorenzo.

Dal giorno seguente non sarebbe più stato un calciatore: sarebbe stato parte della storia indelebile di questo sport.

Ero triste.

Il ritiro di Lorenzo era sinonimo che gli anni erano trascorsi, senza troppi complimenti.

Era passata letteralmente una vita dalla volta in cui lo avevo incontrato per la prima volta: allora era una promessa del calcio, ... ora invece lui sarebbe stato il passato.

Deglutii trattenendo le lacrime che stavano iniziando a fare capolino attorno ai miei occhi.

Per un attimo fissai Mattia, seduto felicemente accanto a me, con indosso una maglia  con scritto: CHIESA.

Eh già. Sarebbe stato lui il nuovo Chiesa, niente più Lorenzo o Federico: il mondo tra qualche anno avrebbe conosciuto Mattia.

In fondo, mentre una carriera terminava, l'altra iniziava. Era il corso della vita, della storia.

Durante la partita non tolsi mai gli occhi di dosso a Lorenzo: non mi interessava il risultato, volevo solo godermi ogni singolo istante di quell'ultima sera in cui l'avrei visto sfrecciare per il campo.

Anche lui era consapevole che non avrebbe mai più giocato lì, con tutti gli altri: prima del fischio d'inizio l'avevo visto girare la testa verso i compagni, verso gli spalti.

Voleva fotografare ogni momento nella sua mente, perchè rimanesse indelebile, finché fosse vissuto.

Il momento più difficile però, giunse al fatidico fischio che sancì il termine del match.

Era finita, per sempre.

Non ci sarebbe mai più stato Lorenzo Chiesa a fare goal, a sfrecciare per i campi da calcio di tutto il mondo.

Mentre Lorenzo si inginocchiava in mezzo al campo, per salutare un'ultima volta quei metri d'erba che così tante volte aveva percorso, i suoi compagni di squadra mi fecero entrare in campo, insieme a Mattia.

Lo tenni per mano fino all'ingresso del campo, ma poi lo lasciai, libero di correre su quel terreno che presto avrebbe dominato lui.

Lo vidi correre da suo padre, che lo prese in braccio e lo sollevò, per far vedere alla folla il suo erede, colui che avrebbe mantenuto in alto il nome dei Chiesa.

Mi avvicinai a loro, in lacrime.

Lorenzo mi cinse un braccio intorno al collo e mi disse: "Non è una fine, è un inizio"

Ci baciammo, mentre dagli spalti si sollevavano applausi scroscianti.

Era l'inizio di una nuova vita.

Insieme


Lorenzo Chiesa || la prova che il destino esisteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora