54.~Flashback~

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YU RHEA-FLASHBACK

Era giunto il momento della verità. La mano di mamma Cho era aggrappata e salda all'esile e fragile gomito, accompagnando la figlia con stabilità precaria, nascondendola con le dolci rassicurazioni che stava ormai sussurrando da quando la TAC era finita. Il sentore dell'attesa stava pian piano insinuandosi nei corpi tesi delle due donne, rendendo e scolpendo l'aria viziata e tesa dell'ufficio.

"Accomodatevi" fu una voce roca e profonda, doveva essere il dottore.

Venne accompagnata ad accomodarsi in quelle poltroncine in pelle, fastidiose e scomode, creando quel rumore stridulo che producevano le sue cosce sfregando con il sintetico. Aveva quella sensazione di arido in bocca, come se tutta la saliva fosse scomparsa, evaporata. Uno schiarimento di voce e il respiro si bloccò.

"La TAC è stata effettuata per accertamenti sul glaucoma diagnosticato più di quindici anni fa, corretto?" chiese il dottore, cominciando il discorso senza dire effettivamente nulla di buono.

"Si dottore" rispose Cho, stringendo una mano della figlia.

Rhea stava seduta composta, con le mani unite sul grembo e la testa rivolta verso il basso, accovacciata fra le spalle, pronta a difendersi ed a far rimbalzare qualsiasi verdetto.

"Rhea... Il glaucoma si è espanso, crescendo di due centimetri, comprimendo sempre di più il cervello" cominciò il medico, il tono fermo "Questo provoca le nausee frequenti e le vertigini indebolendo il meccanismo del tuo sistema, danneggiando ogni giorno che passa il tuo cranio" continuò, fermandosi per poco, sospirando pronto a sganciare la vera bomba.

"Dottore sia diretto per favore..." chiese ormai consapevole Rhea.

"Mi dispiace Rhea... la situazione è grave e per questo dobbiamo sviluppare un programma di esami e approfondire la tua situazione clinica... Ma da quello che abbiamo non ti resta più di un anno".

[...]

Le restava un solo anno di vita, dodici mesi, trecentosessantacinque giorni. Non era spaventata, nemmeno triste, era consapevole che sarebbe successo prima o poi, ma forse non era questo il momento, forse aveva trovato un motivo ed un modo per restare lì, nel mondo dei vivi. Aveva un motivo di nome Namjoon. Lui era tutto, il suo tutto, non avrebbe mai potuto chiedere e scegliere di meglio. Lui aveva dato senso e colore a tutto, lui stava insegnando il vivere a lei, il brivido, il piacere, il rischiare. Lui non meritava altra sofferenza. Lui non doveva soffrire, non con lei, non per lei. Essere stata in quella palestra, davanti a lui e mentire, omettere il vero risultato, lasciando che le speranze si coltivino inutilmente, lasciandolo con il sorriso sul volto. Un sorriso creato sulle menzogne, sulle bugie, sul falso. Ma non c'era altra soluzione. Non avrebbe mai fatto aggravare la sua imminente morte a lui, non avrebbe mai fatto cadere una preoccupazione o responsabilità di questo genere su di lui. Non poteva vederla consumarsi giorno dopo giorno, non avrebbe retto. Non avrebbe mai sopportato il sentirlo sempre in preda alla preoccupazione, il percepirlo in costante ansia, il sapere che avrebbe solo sofferto. Perché alla fine di quel tunnel c'era solo la morte. Namjoon aveva il diritto di vivere, di continuare il suo percorso e di amare, ancora. Avrebbe dovuto soffrire solo un po', dimenticandola e proseguendo con la sua vita. Doveva solo trovare il pretesto giusto per lasciarlo andare, o portarlo a lasciarla.

[...]

"Seokjin... Ciao" sorrise Rhea dolcemente.

"Principessa, allora come stai?" ricambiò lui, contento di poter star con lei.

"Jinnie..." cominciò lei, prendendo le mani dell'amico e accarezzandole per conforto, notò l'irrigidimento e il respiro bloccato, "Io... Sai che per me sei tutto... sei la mia persona speciale, il mio primo amore, il mio unico ed inimitabile Migliore amcio-o" un piccolo singhiozzo spezzò il fiato di entrambi.

Teach Me ~ K.NamjoonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora