Capitolo 6

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... Uno stridore di metallo si propagò nella stanza e con un pesante tonfo la porta si spalancò, facendo desistere il bruto, che si voltò di scatto.

Un atteggiamento drammatico e aborrente investì gli occhi dilatati di Huber e Stefan.

Innanzi a quelle alte divise gerarchiche, il poliziotto col cappotto di pelle mollò Klara e si alzò in piedi con aria colpevole, mentre il compare si sollevava i pantaloni con sguardo allucinato. Klara girò il volto verso il muro. Stordita e confusa, pensò che i soldati fossero entrati a fare festa e non osò voltarsi.

Con lo sguardo ripugnante e gli occhi accesi di collera, Stefan si scagliò sul balordo, scaraventandolo contro una parete e urtando un carrello, i cui arnesi si mossero in un rumore di ferraglia.

"Lurido bastardo!" urlò Stefan, mollandogli una serie di pugni secchi con rabbia incontrollata, fino a rompergli il setto nasale. Huber, con fatica, lo afferrò per le braccia, trattenendolo. Guardò, dunque, il malcapitato e il compare con occhi minacciosi. Lasciò Stefan e gettò il mandato sul tavolo.

"Steiner ha ritirato le accuse contro la ragazza e il tribunale ha firmato un'ordinanza di scarcerazione, mentre voi" e sogghignò sadicamente "sfogherete le vostre voglie, altrove!" La sua presa di posizione fece sbiancare i due manigoldi. "Se avete letto il mio nome sul lasciapassare della giovane, dovevate immaginare con chi avreste avuto a che fare!" e le sue ultime parole sortirono l'effetto desiderato, giacché quei due sapevano che il colonnello Mark Huber era famoso per spedire al fronte chi lo faceva incazzare. I due sgherri deglutirono.

"Adesso, fuori di qui!" e non se lo fecero ripetere una seconda volta, scapicollandosi fuori nel corridoio.

Con passo lento, Stefan si avvicinò a Klara: il volto sempre girato verso la parete; la mano destra che picchiettava su di essa, come se stesse pigiando i tasti immaginari di un pianoforte. Si sfilò il berretto e si piegò su un ginocchio accanto a lei.

Le sbirciò il profilo, livido per le percosse. La vide socchiudere gli occhi con una smorfia di dolore che le indurì il volto. Le guardò le gambe graffiate; la caviglia destra era violacea.

"Klara!" le sussurrò una voce dal tono piacevole. Lei comprese che non era venuto nessuno a divertirsi e dopo lo strano fracasso che l'aveva fatta isolare con angoscia, quel silenzio non le parve più pesante e funesto. Volse lo sguardo verso quella voce gentile, che aveva sussurrato il suo nome con nostalgia.

"Ti ricordi di me, Klara?" le domandò dolcemente il giovane.

I suoi occhi erano smarriti, seppur ardenti sul volto pallido. Osservò l'ufficiale chino davanti a lei: 'gli occhi azzurri come topazi; il capello biondo e fino, ben pettinato con la riga di lato, impeccabile; il naso ben dritto e delineato; il labbro pronunciato pronto ad arricciarsi in un broncio serrato su un volto arrossato e lucido,' così come l'immagine del bambino che le affiorò dentro. Un sorriso di stupore brillò nelle sue iridi, inclinando il capo di lato. I ricordi le pervasero la mente. Poté sentire la brezza di Hallstat carezzarle il viso. Gioiose immagini si insinuarono tra i monti della sua memoria, tra vaghi e vasti orizzonti, tracciate nello specchio del'Halstatter See impresso in quegli occhi blu e profondi.

Allungò una mano, adagiandola su quel mento arrotondato su cui spiccava una lieve fossetta, irto di una corta barba. Lo grattò leggermente, riprendendo quell'attimo in cui si erano separati dodici anni prima, per poi sollevare la mano e agitarla in un lento saluto.

Il gesto intenerì Stefan e un triste sorriso passò sulle sue labbra. Fu talmente colpito da quel ricordo che ricacciò indietro una lacrima.

"Ti fa male la caviglia?" lei asserì col capo, sentendosi rincuorata da quella voce. Non era la voce del bambino che aveva lasciato ma dell'adulto che aveva ritrovato, scorgendone toni a lei conosciuti.

LE CORDE DI KLARA Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora