Capitolo 23

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... "Finalmente, riabbraccio mio figlio!"

Quella voce frizzantina, proveniente dall'ingresso, rievocò in Klara un turbinio di sensazioni gioiose, che la fecero scattare fuori dallo studio e correre verso l'ingresso.
Si arrestò di colpo, arpionando le mani sullo stipite della porta.

Vanessa abbracciava Stefan con un amore tale che sembrava non volesse più lasciarlo andare. Si staccò da lui con gli occhi lucidi e blu, impressi nel suo stesso blu, e gli carezzò una guancia. Lui la strinse ancora a sé, felice come un bambino. Le baciò le guance e affondò il volto nel suo collo, beandosi del profumo delicato che emanava la sua pelle e che avrebbe riconosciuto fra mille mamme al mondo.

Klara percepì quel momento soffuso di dolcezza e rimpianto, rammentando un bacio remoto e un tenero e disperato abbraccio. Il suo olfatto poteva ancora sentire quell'emanazione piacevole e profumata, materna e protettiva, insieme a quel candido sorriso di cui ricordava anche l'odore del rossetto scarlatto.
Timida e con le linee degli occhi piegate verso il basso, tratteggiati nella malinconia, si tirò indietro a nascondersi sotto l'architrave.

Percepiva le sensazioni di Stefan, riluttante a sciogliere l'abbraccio con la madre dopo tanto tempo. La cullava tra le braccia. Era la persona più importante della sua vita. Non poteva intromettersi.
Una tristezza intensa le riempì il petto.
Si spostò da quel magro nascondiglio e tornò in salotto.

Si sedette sulla panca vicino alla porta-finestra; gli occhi le pizzicarono, lucidi. Li asciugò in fretta prima con i dorsi poi con i palmi delle mani; si ravvivò i ricci, scostandoli dalla fronte e si voltò, raddrizzando la schiena; imponendosi un sorriso brillante su un volto divenuto vivace a soffocare quel desiderio, ardente e bramato, di un abbraccio materno che mai più le sarebbe stato concesso.

Quell'addio, che ancora non riusciva a imprimere nel suo cuore, stava lì tra le note di quello spartito che a tale proposito si era sempre rifiutata di suonare. Il Clair de Lune. I suoi occhi ci si posarono sopra, traballante su una pila vacillante di partiture, con quella parola incisa sul frontespizio che non avrebbe mai più pronunciato.
Il suo volto tremò nell'istante in cui la sua anima percepì il vuoto. Sbatté le palpebre e respirò profondamente, riprendendo vigore di se stessa.

"Klara!" la chiamò una voce solare e affettuosa. Sollevò lo sguardo su Vanessa. Aveva messo nelle mani del figlio alcuni barattoli e si era tolta il soprabito. Adesso, allargava le braccia, tendendole verso di lei.
Era radiosa. Alta quasi quanto il figlio. I capelli biondi raccolti elegantemente sulla nuca; longilinea nella gonna a portafoglio blu notte che tratteneva in vita una morbida camicia di seta giallina con le maniche voluminose.

Le rivolse un sorriso impacciato e si alzò, incamminandosi lenta ed esitante verso di lei. La sua titubanza intenerì la donna, la quale spezzò gli argini di quella distanza e le andò incontro, avvolgendola in un caloroso abbraccio, talmente caldo che Klara ne inalò la fragranza dolce, floreale, fresca di violetta e rosa canina.
Fu una sensazione talmente piacevole che se ne incantò, sentendosi leggermente ammaliata da quel contatto amorevole che, però, lei non riuscì a riconoscere e non avrebbe mai più riconosciuto fra mille mamme al mondo. Non era la sua mamma. Non era il suo odore.

Stefan notò la rigidità di Klara e non gli sfuggirono quelle pagliuzze brillanti attorno agli occhi che si trattenevano. Serrò la mascella non riuscendo a mandare giù quel persistente nodo alla gola, che gli si era formato con prepotenza.

Vanessa sospinse Klara verso il divano, dove le fece prendere posto accanto a sé.
"È tanto che non ci vediamo, cara. Ti trovo bene!"
Klara annuì imbarazzata, mentre Stefan si allontanava verso la cucina.
"Ho portato un po' di marmellata di ciliegie. Entrambi ne siete sempre stati ghiotti!" Klara assentì piacevolmente.

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