Capitolo 13

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Un lampo filtrò attraverso la finestra. Klara uscì dal bagno, avvolgendosi la vestaglia di velluto bianco sopra una candida camicia da notte di flanella. Poco dopo, trasalì al rombare di un tuono che crebbe in lontananza. Stefan apparve in quel momento con indosso una maglia blu notte sopra i pantaloni del pigiama dello stesso colore. Incrociò le braccia sul petto e osservò lo sguardo sbigottito della ragazza.

"Hai ancora paura del buio, Klara?" Lei si ravvide. Non si era accorta della sua presenza che la sbirciava con divertimento. Sbatté le palpebre e sollevò le spalle, sforzando un sorriso convincente, che gli lasciasse intendere come quel buio temporalesco risaltasse la sua gioia di vivere. Si avvicinò al letto e lo sistemò per la notte; sollevò la manina e lo salutò, invitandolo garbatamente a lasciare la sua camera. Lo vide avvicinarsi, invece, compiaciuto e cauto seppur con un velo di mestizia su quegli occhi blandi e luminosi. Si chinò sul suo viso e due labbra morbide le sfiorarono una guancia.

"Buonanotte, Klara!" le sussurrò con letizia, appagandosi nel percepire il suo corpo reso immobile per la meraviglia fortemente impressa nell'anima. Subito dopo, uscì dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle.

Klara portò istintivamente le dita sul viso, lì dove era apparsa una macchia di fuoco espandendosi su tutto il suo pallore. Scrollò il capo all'ennesima scarica che le fece vibrare la schiena e si infilò sotto le coperte, spegnendo la luce. I lampi oltrepassavano la sua immagine saettando in ogni angolo buio. Non riusciva a scrollarsi dalla radiosità di quella serata appena trascorsa. I loro linguaggi; le parole non dette ma percepite, scritte e lette nelle loro menti, nei loro occhi, nei loro sguardi. Suonare in quel momento appagante l'aveva resa leggera e fluttuante e la Luna, complice, non le era più bastata spinta a cercare quello sguardo marino, come un pioniere dello spazio alla costante ricerca delle stelle più luminose nel cielo, con profondo soddisfacimento. Si era persa in quegli occhi insistenti, tenaci, come se volessero sfondare chissà quale barriera; l'avevano avvolta con il loro magnetismo in un groviglio di sensazioni solide, annebbiandole la ragione e turbandole la coscienza in una fiamma improvvisa e impetuosa che le aveva reso ebbro il corpo.

Una pioggerellina scese lenta e sottile; picchiettava eccessiva sui vetri, molestando quelle facoltà così sensibili nella mente di Klara da distoglierla dal contenuto, che sapeva essere notevole, dei suoi sentimenti.

Non riuscì a prendere sonno, girandosi e rigirandosi in posizioni che non la consolavano. Scese dal letto e a piedi nudi andò verso la porta. L'aprì e uscì, facendo il minor rumore possibile.

La porta della camera di Stefan era socchiusa. Strano, pensò. Lui era sempre stato meticoloso nel chiudersi in ciò che riguardava la sua riservatezza.

Una debole luce filtrava dallo spiraglio e Klara desiderò pensare che l'avesse lasciata così per lei; per accoglierla, allontanandola da quel buio che lei temeva. Esitante e incerta ci si accostò, sbirciando l'interno.

Lui era disteso con la schiena adagiata alla tastiera del letto; una gamba sotto l'altra sollevata, dondolandola quasi irrequieto; un libro tra le mani; l'espressione concentrata sulle scritte e gli occhi attenti, nascosti dietro un paio di occhiali cromati, le cui lenti cristalline rendevano quel blu profondo austeramente incantevole. Il suo cuore perse un battito e i suoi polmoni trattennero l'aria. Si affacciò impacciata e imbarazzata.

Percependone la presenza, Stefan sollevò lo sguardo fingendolo disinvolto ma rendendolo smarrito subito dopo, come la vide varcare la soglia; stringersi nel velluto della vestaglia e sospirare sollevando una mano a ravvivarsi i ricci sulla fronte, con sguardo basso, moralmente a disagio. Si sentì stregato. Chiuse il libro e si sfilò gli occhiali, deponendoli sul comodino a fianco. Anche il suo cuore si perdette nei battiti incostanti e nascose dentro di sé un sorriso appagato per quell'aspettativa esaudita. La guardò con accentuata intensità, sentendo venir meno le sue debolezze. Faticò a non mordersi il labbro.

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