Capitolo 63

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Klara aveva lo sguardo fisso sui tasti bianchi del pianoforte. Le voci si susseguivano attorno a lei, al Dicke, come brusii in sottofondo alternati tra toni piacevoli, burla e risatine di circostanza.

Il locale non era ancora aperto al pubblico e lei avrebbe preferito scappare. Sentiva la pelle continuamente raggelata nella sensazione di quello strano sogno, che due notti prima l'aveva fatta sprofondare nell'inquietudine. Il giorno dopo, aveva chiesto a Mark se avesse notizie di Stefan e del suo sottomarino, ma l'uomo aveva stretto le labbra dispiaciuto, scuotendo il capo lentamente.

Sollevò gli occhi dalla tastiera, ma non lo sguardo, a sbirciare il colonnello seduto al solito tavolo, che annuiva ai discorsi di Vogel. Quest'ultimo aveva il solito ghigno aspro sulle labbra, le gambe accavallate, la sigaretta pendula tra le labbra a gesticolare volubile su dialoghi sciorinati secondo la sua ragione. Mark, notò, aveva lo sguardo annoiato ed elargiva risposte per mera gentilezza.

« ... Proviamo a suonare con una parte inclinata dell'archetto, così il suono è più nitido ...»

L'udito di Klara tornò all'attenzione dei quattro violinisti, che insieme a lei stavano arrangiando un testo.

« ... cambieremo l'archeggio con una legatura: piano, pianissimo e poi in scala maggiore, veloce di quattro minuti, proseguendo poi all'unisono della terza ottava.»

Il musicista, che stava dirigendo le giuste cordature, si voltò verso di lei.

«Sei d'accordo, Klara?»

La ragazza sbatté le palpebre e distolse la vista dai due uomini seduti a chiacchierare, rivolgendosi con occhi aperti al suo interlocutore. Fortuna, che aveva imparato a orientare il suo udito in diverse direzioni quando si perdeva con la mente. Si sforzò di mostrare un sorriso accondiscendente.

«Sì?» incitò l'altro, immaginando che quel sorriso fosse una conferma. Lei assentì.

«Bene, perché il pezzo è tuo e dato che hai chiesto il nostro parere per proporlo con quattro archi, questo è l'arrangiamento migliore per ...» e si allungò sulla cassa armonica del pianoforte per andarle vicino e bisbigliarle: « ... non far capire a quelle teste calde che cosa stiamo suonando.»

Klara scosse le spalle, ridacchiando all'allusione del violinista Helmut Zacharias, uno dei migliori compositori e archetti jazz di Berlino. Anche per lui il divieto era stato imposto sul suo metodo di suonare la musica. Lo chiamavano "il violinista magico" per come elaborava gli arrangiamenti da pianoforte per violino, imprimendo dei timbri melodici solistici, che nel jazz erano difficili da accompagnare con il violino, ma lui eseguiva gli andamenti del ritmo e l'improvvisazione delle note secondo la sua sensibilità di ispirazione.

La sera che esibì al Dicke la ballata irlandese di nonna Clarence, fu Helmut il primo ad assorbire quelle note e a imporre il suo graffio con successioni allegre, intervallate da rapidi stacchi.

Il musicista le passò lo spartito modificato, che lei prese regalandogli un sorriso di gratitudine.

Dopo un po', l'accordatura dei violini introdussero il pezzo e le sue dita si mossero sulla tastiera con un andamento lento, lasciando che le note si propagassero per l'intera sala. Il suggerimento di Helmut, effettivamente, rendeva meno lo sforzo sui passaggi difficili, riuscendo a trasmettere emozioni più vibranti.

Rimase nella sua postazione a suonare tutta la sera, senza imporsi una pausa, neppure quando i violinisti si concessero una sigaretta. Il solo pensiero di avvicinarsi al tavolo del colonnello e guardare in faccia l'asprezza sul volto di Vogel la faceva rabbrividire di ribrezzo. Solo quando lo vide spegnere l'ultima sigaretta, alzarsi dal suo posto, indossare cappello e soprabito e salutare Mark, mise fine al pezzo battendo con l'indice sull'ultima nota.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 24 ⏰

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