Capitolo 9

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Erano le cinque del pomeriggio quando Klara, vestita comodamente di un largo pantalone e dei comodi polacchini, indossò il cappotto e si mise in spalla uno zaino.

Fuori cominciava a fare buio e lei evitò di accendere la luce nel corridoio. Trovò una candela e la ravvivò, avvicinandosi alla camera di Stefan. Scostò la porta, per metà aperta, ed entrò di soppiatto. La poca luce che filtrava dalla finestra lanciava deboli ombre all'interno. Stefan dormiva disteso sul letto; il volto riverso da un lato e un braccio allungato sul capo; l'espressione distesa e stanca.

Klara avvicinò la fiammella che si pervase sui capelli chiari del giovane, facendoli apparire come oro puro. Stranamente, sentì il cuore perdere un battito. Era bello come il dio Eros e lei si sentì come Psiche nell'attimo in cui scopre che il mostro che l'ha sposata è il dio dell'amore. Piegò le labbra in un broncio cauto. Meglio tirare via la candela! Volesse la sfortuna che la cera gli cadesse di sopra e ... apriti cielo! Pensò, ravvivando gli occhi e scrollandosi i brividi di dosso.

Spense la candela e la adagiò sullo scrittoio davanti al letto, lasciando che il fumo si espandesse leggiadro. Con quel gesto, voleva confermare al giovane che lui non aveva potere su di lei.

Pochi minuti dopo, Klara si gettò quasi dentro un taxi che la condusse dall'altro lato della città, nei pressi di una fabbrica abbandonata. Proseguì a piedi per un isolato, oltrepassando un quartiere povero e rasentando un muro ferroviario. Pochi lampioni illuminavano il tragitto, formando triangoli d'ombre sotto di essi.

Oltrepassato il quartiere, alle spalle della fabbrica in disuso, dalle alte vetrate violate e le porte scardinate dai bombardamenti, Klara giunse innanzi un groviglio di filo spinato che si estendeva fino alla fine dell'ultimo lampione per poi perdersi oltre l'oscurità.

Bussò alla prima porticina di ferro, secondo le indicazioni del suo amico Johann, e attese pochi secondi. Quando questa si aprì, un uomo alto sulla quarantina, la corporatura massiccia e il capello ben rasato su una mascella squadrata e dura, la accolse con sguardo indagatore.

Klara allargò gli occhi, accennando un saluto spavaldo col capo e ponendogli un biglietto con dentro scritto: "Romel Visser?"

L'omone squadrò quello scricciolo dallo sguardo tutto pepe e dall'atteggiamento di chi avesse fretta di concludere al più presto qualcosa, stringendo le mani sulle staffe dello zaino.

"Tu devi essere Klara!" le sorrise l'uomo, che innanzi agli occhi della giovane brillare d'affermazione, si mise di lato per farla entrare.

Poco tempo dopo, Klara uscì dallo spogliatoio indossando la tenuta sportiva. Salì sul ring e Visser le strinse i guantoni.

"Nella sua ultima lettera, Johann mi ha parlato di te. So che sei una pianista famosa!"

Lei gonfiò le gote imbarazzata. "Famosa?" mimò trattenendo un sorriso. "Sopravvivo!"

"E so che stai cercando qualcuno!"

Lei asserì energica. Dopo un attento esame su quella strana creatura, il pugile si grattò il capo con aria sarcastica. "E' una follia, lo sai?" Klara mantenne lo sguardo fermo.

"Johann mi ha detto perché vuoi imparare a combattere. Il tuo segreto con me è al sicuro!" Klara lasciò andare il fiato e sembrò rilassarsi. Anche Visser indossò i guantoni.

"Mostrami le ultime tecniche che ti ha insegnato Johann; le riprenderemo e le renderemo più incisive!"

Klara annuì; sbatté i guantoni uno contro l'altro e curvando la postura, sollevò la guardia mutando il volto in una fredda concentrazione. A Visser piacque il dinamismo della giovane e dalle sue movenze prive di sbilanciamenti e i ganci impressi con zelante rigidità, comprese che Johann aveva forgiato una guerriera.

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