Capitolo 55

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Per due sere consecutive Klara dovette sorbirsi la presenza di Vogel al Dicke. I suoi ingressi furono placidi di indifferenza con lo sguardo astuto, celato sotto il cappello nero su un portamento vigile e un sorriso sottile, che sprigionava un'arroganza altezzosa.

Il suo sopracciglio sinistro si sollevava con costante disdegno quando si spogliava del cappotto grigio e si sfilava un guanto nero. Le sue scarpe ben lustrate scricchiolavano sul pavimento, avanzando lento al tavolo per lui riservato. Vi prendeva posto con simulata eleganza, desideroso di emanare quell'alone di dominio, che esaltava il suo ego. In seguito, con snervante lentezza, estraeva una sigaretta da un contenitore argentato, ne batteva la superficie sulla lucida piastra, la inseriva nel corto bocchino in avorio nero e lo teneva a mezz'aria, affinché un cameriere passasse e si accorgesse dell'esigenza che il cliente ostentava nel reclamare il servizio di accendergliela.

Klara eseguiva le sue esecuzioni al pianoforte, osservandolo con occhi annoiati e sguardo riluttante. Provava una sensazione di disgusto e ancor ripugnante per quello sguardo arcigno che si posava su di lei, come a voler attirare la sua attenzione, esibendo un malevole e irritante sorriso di scherno. Ciò che più la sconcertava, però, era vedere Huber sedersi al tavolo con lui, chiacchierando come due vecchi compagni.

Mark doveva ancora spiegarle perché Vogel, ultimamente, fosse più presente nella loro vita; una presenza che lei reputò asfissiante e disarmonica.

Da quando Stefan era partito non si sentiva più tanto concentrata sulla musica. Non riusciva a distrarla né a eseguirla con fluidità e divertimento. Erano sere che non si recava al Charlotte. Fisher l'aveva informata che i clienti la richiedevano spesso, ma lei non si sentì ispirata, non dopo quella sera, che proprio al Charlotte aveva aperto il suo mondo a Stefan.

Le sue dita scorrevano sulla tastiera e sollevando lo sguardo sulla luna, un altro volto prese forma in quel pallore candido e lucente. Una lacrima le scese silenziosa; il respiro le si affannò nel tentare di reprimere le lacrime; si morse le labbra al ricordo di quel bacio sotto l'ombra della morte, disperato e desiderato, seguito da un altro, che recava ancora umido il sapore dell'addio.

Terminò in fretta la sua esecuzione per poi scendere dal palco e andare a sedersi al tavolo, dove Mark e Vogel intrattenevano la loro conversazione. Non si curò neppure delle occhiate laconiche che le lanciava il suo ex maestro. Prese il suo taccuino e ci scrisse sopra qualcosa con mano tremante.

Huber sentì lo strappo del foglietto, che un attimo dopo si materializzò sotto i suoi occhi.

"Voglio sentire Stefan!"

Il colonnello sollevò gli occhi sui suoi, tremuli e ansiosi; il capo reclinato di lato e le linee sensuali delle palpebre, che lievemente si piegavano in una dolce mestizia, intenerendolo con dolore. "Lo sai che non è possibile, Klara!" dovette risponderle con dispiacere.

Klara si sentì soffocare. Non avrebbe resistito un altro giorno, senza sentire Stefan, figurarsi quattro settimane. Percepì gli occhi acuti di Vogel perforarle la pelle ed evitò di sollevare lo sguardo su di lui, certa di non riuscire a sostenere quell'intensa espressione cinica che le aborriva le membra.

"La nostra Klara non ha perso l'insolito vizio di mostrare i suoi capricci!" arguì con tono che mal celava un ostile rimprovero. Klara lo guardò con disinteresse, senza voler ribattere, conscia, altrimenti, del pugno che gli avrebbe mollato. L'uomo valutò quella reazione, che lei teneva cacciata nel baratro delle sue emozioni, e ne approfittò.

"Ho sempre ritenuto ostinato il tuo tentativo di mostrare un'esuberanza eccessiva al solo scopo di attirare l'attenzione, Klara. Nei tuoi atteggiamenti sei rimasta la solita bambina petulante e indelicata, che non comprende neppure il mondo che le ruota attorno, sragionando sui doveri di chi si impegna a rendere onore alla Patria!"

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