Capitolo 39

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Giunti a Vienna, Stefan e Klara presero il treno per Salisburgo. Dopo due ore di viaggio, Stefan noleggiò un'automobile con cui avrebbero viaggiato per settanta chilometri fino a destinazione.

Parecchio tempo dopo, Klara udi gli pneumatici frantumare la strada ghiaiosa, scorgendo il sentiero aprirsi nella natura florida e verdeggiante, che tracciava il percorso del lago. Questo, scorrendo lungo il loro profilo, imprigionava nel suo specchio argentato l'imponente veduta del borgo.

Klara trattenne il fiato a quella naturale bellezza ritrovata, mentre Stefan fermava l'automobile ai piedi della stradina inclinata verso la collina, là dove si allineavano le casette a schiera dai tetti spioventi.

La ragazza scese dall'auto. La brezza torrida sin da mattina le investì le gote accaldate. Osservò Stefan coinvolto in un'emozione nostalgica quanto la sua e lo seguì su per il percorso. Come giunsero in cima, il suo cuore batté forte e le sue labbra tremarono. La sua vecchia casa era come la ricordava: bianca, con i tetti inclinati verso il basso dalle tegole rosse; il porticato in ombra, ricoperto di edera rigogliosa. I gelsomini abbarbicati nel basso muretto attendevano di sbocciare. Ne accarezzò le foglie verdi e il cuore le si riempì di tristezza. Erano i preferiti suoi e della sua mamma.

Incerta, vagò con lo sguardo ovunque, percependo una strana tensione avvolgere la dimora. Si fermò davanti ad essa, intimorita e tremante.

Stefan aveva appena aperto la porta d'ingresso quando si voltò, scorgendola immobile nella sua debole insicurezza. Le sorrise, incoraggiandola a seguirlo e lei si fece catturare dal suo sguardo, senza lasciarlo, volendone trarre conforto e sostegno.

Non metteva piede nella villetta dal giorno del delitto e si sentì offuscare la memoria, mentre seguiva Stefan all'interno.

Lo vide aprire i battenti delle finestre e spalancare le persiane, la cui vista spaziò sul paesaggio. La veduta dei colli, infatti, si affacciò improvvisa e poco a poco la luce dorata del cielo si intrufolò nell'ambiente.

I mobili erano rimasti nella stessa posizione che ricordava, avvolti da lenzuoli bianchi. Stefan ne scoprì parecchi, scoperchiando persino il pianoforte a parete, che fece trattenere il fiato a Klara per i ricordi che la assalirono prepotenti.

Si guardò attorno in un lento e atroce giro. In un attimo, la sua mente ripercorse parecchi ricordi, che la ritraevano serena e gioconda insieme all'allegria della madre. Riuscì a sentirne la risata fresca, vivace e gioviale. Sorrise mestamente. I suoi occhi divennero lucidi.

Notò tutto, mettendo a fuoco ogni oggetto nel suo particolare significato: da una poltroncina a un quadro; da un bicchiere a un ninnolo di porcellana; tutto ciò che la sua mamma aveva toccato e custodito con cura, persino la vetrina, la cui anta centrale, chiusa nell'oscurità del legno, la fece avvicinare, rabbrividendo.

Rimase ferma con lo sguardo spento nel vuoto. Si voltò di poco a misurare con gli occhi la distanza che copriva la vetrina dal punto in cui aveva visto la madre cadere assassinata. Fu come vederla lì, riversa con gli occhi immobili e sbarrati in direzione dell'anta. Il ricordo funesto la investì, affiorando nel suo spirito e urtandola nel dolore che non seppe trattenere. Si portò le mani alle tempie e spalancò la bocca, volendo dare sfogo al suo urlo di terrore, soffocato nel silenzio.

Stefan scavalcò un paio di ostacoli, precipitandosi da lei. La avvolse tra le braccia, cercando di rassicurarla. I suoi brividi lo scossero, ma poteva fare ben poco in quel momento. Klara doveva affrontare da sola i suoi demoni e lui poteva solo supportarla.

La sentì placarsi. Le sue mani avevano abbandonato le tempie, scendendo a stringerlo convulsamente con le dita arpionate alla sua schiena.

«Klara!» la chiamò dolcemente fra i capelli. «Non ti lascio sola!»

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