Kara
Camminiamo per i giardini morti.
Il vento freddo sposta le foglie secche sotto i nostri piedi. Ogni passo produce un suono scrocchiante sotto i mocassini di Ahmed. La mia tunica striscia causando un fruscio, come quello di un fiume che procede a scatti.
Respiro piano. L'aria è gelida, anche se non manca molto al mezzogiorno.
Alzo lo sguardo ai rami spogli degli alberi, al loro intreccio, forse aspettando che si allineino a mostrarmi qualcosa.
Poi Ahmed fa cenno verso una panchina di pietra, e io annuisco in silenzio, seguendolo.
Lui libera la seduta dalle foglie, e si siede a un margine della panchina. Io mi accomodo al suo fianco, abbastanza vicina perché le nostre cosce si sfiorino.
Mi sistemo i capelli di lato, e lo osservo. Tiene le mani in tasca, la schiena ricurva e lo sguardo rivolto al terreno.
Lascio cadere le ciabatte a terra, e mi cingo le ginocchia con le braccia, avvolgendo i piedi nudi tra le pieghe della tunica. Non mi fanno più male, ma li sento gelidi.
«Come va la ferita?» mi chiede Ahmed, dopo forse un secondo di silenzio, facendo cenno alla mia faccia.
Io mi avvicino una mano al viso, come a copiare la posizione delle sue mani per capire dove mi sono sporcata con la glassa di una torta. Intende il mio mento. Il piccolo graffio che mi sono procurata quando sono caduta sul selciato, dopo che Ray mi ha fatto quello sgambetto.
Con tutto quello che è successo in seguito, me n'ero completamente dimenticata.
«Meglio» rispondo, abbozzando un sorriso.
Ma Ahmed si limita ad annuire, e il suo sguardo torna basso, e colpevole.
Il silenzio torna a regnare tra di noi. E non riesco a credere che, dopo tutto il tempo che abbiamo passato lontani l'uno dall'altra, io e mio fratello non abbiamo nulla da dirci.
Ma neanch'io riesco a pensare a molto. Sono idee che mi sembrano stupide non appena tento di formulare una frase.
«Mi porti a vedere il laboratorio?» mi decido a chiedere, dopo forse un minuto buono.
«No» si affretta a rispondere lui, tornando a guardarmi, gli occhi castani e rotondi ben aperti. «Voglio dire, sarebbe meglio se passassi dopo pranzo. Per questa mattina erano programmati degli esperimenti.»
Annuisco. Eppure, c'è qualcosa nella sua voce che mi fa pensare che mi stia nascondendo qualcosa. Conoscendolo, non vuole farmi sapere nulla sui dettagli di questi esperimenti.
«Allora andiamo prima da qualche altra parte?» propongo io, alzandomi di nuovo in piedi. Faccio cenno alle mie ciabatte. «Ad esempio, ai magazzini?»
Ahmed sorride. «Buona idea.»
Si alza anche lui, lento. E tiene sempre lo sguardo basso, fisso verso i suoi piedi, verso il percorso di pietrisco sotto di noi.
Camminiamo piano verso le mura sud della Congrega, di nuovo in silenzio. Solo il vento ci accompagna, superandoci, facendoci rabbrividire.
Allungo una mano verso di lui, cercando la sua, come quando eravamo bambini.
Sorrido, quando stringe la mia.
Le sue dita sono fredde, più lunghe, più ruvide. Non è più la mano di un bambino o di un ragazzino. È la mano di un uomo che sento di non conoscere.

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The Darkest Thing
Paranormal[Paranormal/Horror] TW: blood, violence, abuse, suicide. Serie Darkest, libro 1 La Congrega di Nipagan Waters esiste per proteggere il mondo dai mostri. Da più di trent'anni, questi esseri incomprensibili, fatti di oscurità, si nutrono di paura e di...