23 - Black Wave

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Kara



Non sono morta.

L'aria che riempie i miei polmoni è già abbastanza per farmi sorridere, anche se è gelida.

Sento dolore ovunque. Sono distesa sulla riva del lago, e i sassi tondi che la compongono non sono per niente comodi.

Ma riesco a tirarmi a sedere. E questo è un bene.

Vado alla ricerca di ferite o lividi sul mio corpo, ma non sembrano essercene.

L'onda nera è tornata indietro, proprio come la risacca del mare. È stata risucchiata dal portale. Ma non mi sento comunque al sicuro, perché so che potrebbe tornare in ogni momento.

Il silenzio che mi circonda è irreale. È un vuoto sbagliato, pieno di suoni mancanti.

Vado alla ricerca di Ray, con lo sguardo, e sono sollevata nel trovarlo accanto a me, disteso a terra in posizione prona. Almeno non è caduto sulla schiena.

Respira piano, mentre ha un braccio piegato e l'altro disteso in avanti, come se volesse aggrapparsi a qualcosa, o nuotare tra i sassi per fuggire da qui.

«Ray,» sussurro il suo nome, ma sono sempre più tentata di svegliarlo toccandogli la testa o la spalla. Tuttavia, ho altrettanta paura che potrebbe spaventarsi, scattare in piedi e tirarmi un pugno. Non penso di avere il diritto di toccarlo.

Mi avvicino allora al suo orecchio. «Ray, svegliati» dico, a voce più alta, le mie labbra a un millimetro dal suo collo.

Lui non apre subito gli occhi. Prima inspira di colpo, poi strizza le palpebre. Mi tiro indietro, di nuovo a gambe incrociate sulla riva.

«Kara?» pronuncia il mio nome come se fosse una domanda, mentre fatica a mettere a fuoco la mia figura. Come se non si aspettasse di trovarmi lì accanto a lui.

«Cos'è successo?» mi chiede.

Vorrei sapergli rispondere.

«È tutto finito» cerco di rassicurarlo.

Lui fatica a mettersi in ginocchio. Si lascia sfuggire qualche grugnito di dolore, e un paio di imprecazioni, mentre è costretto a piegare la schiena.

«Dove sono tutti?» domanda ancora, una volta trovata la forza di rimettersi in piedi.

Mi affretto a copiarlo, e sposto lo sguardo sulle mura della Congrega. Quasi mi sorprendo di trovarle intatte.

Riconosco alcune delle figure in piedi – Taylor, James, Tessa, e altri Spadaccini più o meno giovani che avevano preso parte all'addestramento con noi.

Mi avvicino, e le loro voci diventano dei discorsi sensati, anziché un garbuglio di suoni lontani. Ray cammina al mio fianco.

Scopriamo che siamo stati tra gli ultimi a rialzarci, forse perché non siamo stati tra i primi a venire investiti da quella che tutti hanno ormai deciso di definire onda nera.

Alcuni Spadaccini sono rientrati per scoprire cosa è successo all'interno della Congrega – se ci sono stati danni, se gli esterni hanno fatto in tempo a trovare riparo nei tunnel, o se sono riusciti a scappare.

Quando il portone si apre e i quattro Spadaccini riemergono dalla nebbia, però, le loro facce sono già una spiegazione. Sono senza speranza.

«Non c'è nessuno» dice il più anziano dei quattro.

«Nessuno nei tunnel» gli fa eco una seconda voce.

Tutti attorno prendono a bisbigliare. Solo io faccio un passo indietro. Quasi urto contro Ray, e sto per scusarmi, quando incrocio il suo sguardo. Ha gli occhi fissi sulla porta, che si è già richiusa. I pugni chiusi, per costringersi a stare fermo.

The Darkest ThingDove le storie prendono vita. Scoprilo ora