46 - The Darkness

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Ray



Ce l'ho fatta.

È stato solo per un momento, ma sono riuscito a sentirlo. Il suo tocco. Non quello della Morte, ma quello della persona morta davanti ai miei occhi.

«È qui» sussurro, piegando le dita e stringendo poco a poco, e poi portandomi la mano al petto.

Vorrei esprimermi meglio. Vorrei dire a Kara quello che ho sentito, chiederle quale sia il prossimo passo da compiere. Ma la mia gola è stretta in un nodo che non riesco a sciogliere, e la mia vista è appannata dalle lacrime non ancora cadute.

«Riesci a vederla?» mi chiede Kara. «Riesci a sentire la sua voce?»

Scuoto appena la testa. «Solo... la sua mano. Credo.»

Kara annuisce, e mi regala un sorriso rassicurante. «È un buon inizio.»

Mi siedo in ginocchio, e appoggio la schiena alla pietra alla destra dell'olmo.

Tornare qui non è servito. Il posto che prima mi dava tranquillità e sicurezza ora è collegato a troppi ricordi che vorrei uscissero dalla mia mente.

Anche se tutti quei cadaveri sono stati restituiti alle famiglie, quelle forme rosse e scomposte esistono ancora nella mia testa. Quella schiera di volti contorti dal dolore grida, nelle mie orecchie, anche se nessun altro può sentire.

Ma Tessa è stata qui quando era viva, e ora che è morta riposa tra le radici di quest'albero spoglio. L'unico cadavere in questo piccolo cimitero.

Kara dice che questo dovrebbe aiutare. L'anima di Tessa ha buone probabilità di essere qui, secondo lei. Io non so nemmeno di che cosa stia parlando.

Ha provato a spiegarmelo. La prima volta che è riuscita a evocare lo Spirito corrotto, Kara si trovava nella Sala Grande. Nel posto in cui Taylor le aveva detto le parole che continuava a ripetersi mentre combatteva contro Woolf e contro l'oscurità.

Dosare e direzionare la paura.

Kara sentiva la sua voce. Vedeva i suoi occhi, la sua espressione sorpresa, e poi soddisfatta. Il suo sorriso. Come se fosse ancora lì, a occupare il suo posto nella Sala Grande, e le stesse dando consigli su come affrontare il nemico, l'impostore che aveva causato la sua morte.

«Forse è meglio se ti lascio solo con lei» propone, accovacciandosi al mio fianco.

Sospiro, e scuoto la testa. «Lei non è qui.»

«È qui» ribatte lei. «Sono sicura che ti abbia seguito. Che ti segua sempre.»

«I fantasmi non esistono» sbuffo io.

«Prova a crederci, solo per un momento.»

«Non sono capace di raccontarmi cazzate da solo.»

Kara si rialza in piedi, e fa qualche passo più lontana dall'olmo, dalle pietre. Da me. Incrocia le braccia al petto, e il suo sguardo si perde tra gli alberi. Cerca di vedere il cielo, l'orizzonte, il sole. Un raggio di luce si fa strada tra le foglie, e colpisce il suo viso. Fa brillare i suoi occhi di una sfumatura più verde.

Il sole sta già calando.

«Se non imparerai entro questa sera, andrò da sola.»

Non è una minaccia, ma mi ferisce. Mi sento abbandonato. E non mi sento all'altezza. «Non sono portato...» mormoro, «come te.»

«Non è questione di essere portati o meno» dice lei, ora tornando a guardarmi. Non mi dà più così fastidio. «Devi solo trovare il collegamento. Qualcosa di significativo per entrambi. Qualcosa che potete usare come tramite. Un ricordo che entrambi siete felici di condividere.»

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