18 - Elm Tree

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Ray



«Fantastico» commento io. E, per una volta, non c'è traccia di sarcasmo nella mia voce.

Il sorriso di Kara si allarga, e io distolgo lo sguardo, riportandolo sull'olmo morto, e sulle due pietre accanto a esso.

Ora che non sono più un ragazzino, so che non sono altro che pietre, eppure una parte di me vuole ancora fantasticare. Voglio ancora immaginare che quei due massi pesanti siano due persone orgogliose di me.

E vorrei poter dire a Kara che sono anche orgogliose di lei. Ma, in realtà, solo io lo sono. Solo io posso esserlo.

«Sei davvero una brava allieva, a quanto pare.» Sono troppe parole, per un complimento. Lo so. Ma lasciare quel brava senza nulla attorno sarebbe suonato strano. Penso che sarebbe suonato peggio.

Kara alza le spalle. «È stato più facile di quanto pensassi» dice, come a giustificarsi per quello che mi sarebbe sembrato un miracolo, se non la conoscessi un minimo.

«E anche tu sei davvero un bravo insegnante, a quanto pare» mi restituisce il complimento, copiando il mio tono.

Le mie labbra si piegano in un mezzo sorriso.

«In ogni caso, è davvero strano che tu ci sia riuscita al primo colpo a... quanti anni? Ventuno?»

«Ventitré» puntualizza lei.

Ancora più strano. Ancora più sorprendente.

«Ma, in effetti, non mi era del tutto nuova, la storiella della Morte» dice lei, mentre sembra riflettere, o andare a ripescare qualche ricordo lontano. Si porta una mano al mento, e muove il labbro inferiore con l'indice, mentre i suoi occhi guardano il vuoto.

«La chiami storiella?» mi sorprendo io.

Lei si stringe di nuovo nelle spalle. «Siete voi che la raccontate ai bambini» si difende, spostando gli occhi su di me.

La correggerei, su quel voi. Voi della Congrega. Io non sono della Congrega. Non davvero. E non farei mai a un bambino ciò che è stato fatto a me.

Ma lo sa anche lei. Ne sono sicuro, ormai.

Non ho bisogno di giustificarmi, con Kara.

«Ricordo che mia madre mi raccontava qualcosa del genere, quando ero piccola» continua lei. «Una volta era stato a Halloween, lo ricordo bene. In effetti, dovevo avere all'incirca quattro o cinque anni. Lei non voleva che io uscissi a fare dolcetto o scherzetto, ma io volevo andare con Ahmed, che era di due anni più grande, aveva un costume bellissimo, e avrebbe passato la serata a divertirsi con i suoi compagni di classe.»

La vedo sorridere, mentre recupera quei ricordi da un angolo della sua memoria, e li condivide con me. Non oso metterle fretta sul fatto che dobbiamo tornare prima che faccia buio. Preferisco ascoltarla.

«Allora, dato che volevo fare la grande, mia madre decise di raccontarmi una storia di paura. Io ero ostinata a non spaventarmi. E lei prese uno degli addobbi che avevamo appeso fuori dalla porta. Era un pupazzetto di uno scheletro vestito con un mantello nero. Era la Morte.»

«Quindi tu la immagini così?» chiedo io. Mi sorprende che una morte dall'aspetto così ridicolo e inoffensivo abbia potuto funzionare, e le abbia permesso di evocare il suo Spirito.

Allora forse la Morte non c'entra nulla con ciò che siamo in grado di fare. Forse basta trovare la concentrazione in un ricordo prezioso, uno in cui ci sentiamo vicini a qualcuno che amiamo.

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