Prologo

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JULIETTE

"Juliette! Sono a casa! Ho portato la spesa".
Questa è mia madre, è appena tornata dal supermercato sotto casa. Probabilmente adesso starà mettendo tutto il cibo fresco all'interno del frigo, pensando a cosa cucinerà dopo a cena per me e lei, quando non sa, che questa sera, non sarò a tavola a condividere il pasto.
Sono chiusa in bagno, sdraiata nella vasca, immersa in acqua tiepida. Sono senza vestiti, e trattengo in una mano una lametta ormai arrugginita, con l' intenzione di usarla per mettere un punto a questo mio inferno chiamato vita.
Da quando ho perso mio padre, nonché due anni fa, i miei occhi non vedono i colori, le mie orecchie percepiscono solo il caos e la mia anima ha smesso di vivere, anche se, questo mio dannato cuore continua a battere.
Fisso la lametta, pensando a quanto farà male quando questa mi taglierà, ma soprattutto, ipotizzo in quanti minuti questa mia scelta, riuscirà a trasferirmi nell'aldilà.
Stringo la lama e l'avvicino al mio polso, e quando questa si trova a solo pochi millimetri dalla mia pelle, esito.
Esito perché ripenso a mio padre, mi chiedo se mi sta guardando e se condivide questa mia scelta, d'altronde voglio solo stargli vicino un'altra volta. Mi manca il suo viso, la sua essenza, il suo spirito, la sua voce, i suoi abbracci, i suoi baci, le sue carezze...Mi manca papà.
Se voglio rivederlo, devo farlo, ormai non ha senso respirare, il mio corpo è solo materia. Io sono solo un corpo.
Taglio, taglio profondamente fino a non esserne soddisfatta.
Più taglio, prima lo vedrò.
Osservo il sangue colare sulle mie braccia fino a mescolarsi con l'acqua della vasca. Adesso sto affondando in questo liquido trasparente macchiato da chiazze rosso scuro. Sono immersa in un miscuglio di acqua, sangue e vergogna.
Mi sento in colpa per mia madre, che sta tirando pugni sulla porta da ormai cinque minuti abbondanti, urlandomi di dirle qualcosa per rassicurarla.
Mi sento in colpa per mio padre, che se ha assistito a tutto questo scenario, probabilmente si starà odiando poiché si considererà carnefice di questa mia scelta, "Papà... Non è colpa tua... Voglio solo rivederti" sussurro a malapena nella speranza che mi senta in qualche modo.
Mi sento in colpa per la me di tre anni fa, una Juliette di 12 anni con tanti sogni chiusi nel cassetto.
Mi sento in colpa, per essere nata con la conseguenza di non concludere più niente nella vita.
Non sento più mia madre, la luce mi sembra spegnersi. Ora tutto è stato distrutto. La mia famiglia. La mia vita. Me.

MELISSA

"JULIETTE APRI QUESTA CAZZO DI PORTA O LA SFONDO". Urlo a squarciagola.
Juliette è rinchiusa in questo bagno, so cosa sta facendo, o peggio, ha fatto, e ciò mi fa esplodere il cuore.
La mia voce sta sparendo, la gola mi fa male e le mani bruciano, ma non posso fermarmi, devo salvare la mia bambina.
Non posso perderla, non posso farmi togliere dalle mani il mio tesoro più grande, la mia ragione di vita. Non posso perdere Juliette. Solo l' idea di vedere la mia Juliette senza vita, toglie il significato dalla mia.
Cerco una sedia, un martello, la vecchia mazza da baseball di Josh, un qualsiasi oggetto che possa distruggere quella dannata porta.
Non trovo niente. Il panico cresce, e con essa anche la paura. I miei occhi non fanno entrare più la luce, il mio battito sta accelerando, e i miei polmoni ormai stanchi si stanno fermando.
Non respiro, e non ho forze neanche per fare il passo successivo, ma in quel bagno c'è mia figlia e non posso permettermi di perdere tempo a riprendere fiato.
Prendo la rincorsa, do un colpo alla porta. Un altro. Un altro ancora. Infine un altro. Al quinto tentativo il mio corpo egoista decide di fermarsi e di cadere a terra, nonostante io non voglia.
La mia testa è appoggiata sul pavimento, vedo della polvere muoversi. Cerco di alzarmi ma le mie braccia non rispondono.
Ho perso. Ho perso l'uomo della mia vita, nonché la persona che più credeva in me. Ho perso mia figlia e la cosa peggiore è che ho vissuto la sua perdita in ogni momento negli ultimi due anni. Ogni giorno un pezzo di lei crollava, un suo sorriso si trasformava in lacrima ed ogni suo sogno veniva gettato.
Perdonami Juliette, se non ti ho salvata. Scusa Josh, se non ho lottato ogni giorno per far risorgere la felicità di nostra figlia... Ora ne sto pagando amaramente le conseguenze.
Il pavimento è freddo, il mio corpo ancora caldo. Gli occhi non si sono ancora chiusi, li muovo in tutte le direzioni, nella speranza di rimanere sveglia per chiamare aiuto.
Li muovo a destra, a sinistra, in alto, in basso. Vedo la parete, il quadro di Juliette, lo specchio e la vecchia borsa aperta di Josh appoggiata nello scalino.
Vedo l' orologio, è passato un minuto dalla mia caduta, mi rialzo e mentre appoggio i gomiti, la borsa cade, svuotandosi completamente.
Sposto tutti gli oggetti fuoriusciti che non mi fanno appoggiare le mani per rialzarmi. Appoggio la mano e sento che sta premendo su un arnese. Delle chiavi.
Le afferro, mi alzo in piedi velocemente, analizzando l' oggetto. Sono la vecchia copia delle chiavi di tutte le stanze di Josh.
Trovo quella del bagno.
Entro.

Un amico immaginarioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora