Capitolo 21

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JULIETTE

Chiudo la porta di casa. Sono sola, nessuno ora può trattenermi o calmarmi. Osservo le foto sparse in tutta casa, di mia madre ed io. Sento ancora il suo odore, più precisamente il profumo che usa "Stava venendo a prendermi..." sussurro a me stessa, nella speranza che pronunciando quelle parole ad alta voce, potessi cercare qualche giustificazione, ma purtroppo non ho altre strade da seguire: mia madre stava venendo a prendermi, per questo ha fatto l'incidente. Per colpa mia. Se fosse rimasta a casa, non sarebbe successo.
Un nodo stretto alla gola mi soffoca, permettendomi di respirare a malapena. Non ho più lacrime da versare. Mia madre sta male, a causa mia. Come posso accettare tutto questo?
La vita mi ha tolto mio padre, nonché il mio pilastro, ora non mi toglierà mia madre.
Semmai mi porterà via l' unica parte rimasta della famiglia, io non rimarrò qui a guardare.
Ho causato dolore alla persona più importante della mia vita, ai primi occhi che ho guardato. Non merito felicità per questo.
Probabilemnte mi merito di soffrire al momento, anzi, mi meriterei di soffrire ancora di più. Un'anima sola che infligge solo dolore, è un'anima inutile.
Vari pensieri si accavallano nella mia mente, ma solo uno è dominante: devo punirmi.
Con passo deciso, mi dirigo in camera da letto. Mi posiziono davanti alla scrivania, nella speranza di trovare il mio astuccio, in modo da prelevare le forbici.
Cerco in ogni centimetro della camera, rimanendo frustrata, poiché non ho trovato nulla. Ricerco con i nervi che in questo momento stanno crescendo costantemente. Dopo la terza ricerca, la rabbia si impossessa di me. Ribalto la sedia, getto via i fogli sulla scrivania. Mi dirigo in cucina, rovistando nel cassetto delle posate. Estraggo una forchetta: un arma perfetta per infliggere dolore, ma non mortale.

"Per favore, non farlo."

Una voce maschile, dietro di me. Un ladro? Impossibile, non si preouccuperebbe per me. Charlie? No, ha la voce diversa. Chi mi ha chiesto di fermarmi?
Poggio molto piano la forchetta, in modo da non causare rumore. Mi giro molto lentamente, a causa della paura.
Ora sono girata completamente, con gli occhi spalancati, ed un coltello che sono riuscita ad afferrare velocemente.
Davanti a me, vedo un ragazzo molto alto, di bell'aspetto. Con folti capelli castani ed occhi scuri penetranti. Indossa una camicia bianca ed un pantalone nero ben stirato, non ha tatuaggi ne piercing.

"Chi sei?!"

"So che può sembrare strano credimi..."

"DIMMI CHI SEI!" Gli urlo, con la paura e la rabbia che lottano dentro di me.

"Sono Mason Hale..."

Un amico immaginarioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora