CAPITOLO 1

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Amo i bambini.
Amo la psicologia infantile e sono notoriamente la persona più empatica del pianeta per questo mi piace il mio lavoro.

Sono una maestra.
Niente di speciale, stipendio basso e tanti grattacapi da risolvere.

Eppure voglio fare questo lavoro per il resto della vita perché mi piace pensare che posso aiutare i bambini a crescere.

Vorrei poter lasciare loro un segno, aiutarli a capire come affrontare questo difficile viaggio che è la vita e soprattutto voglio esserci laddove c'è bisogno di me.

Il mio passato sicuramente influenza questa mia decisione ma ho trasformato le mie stesse ferite in qualcosa di buono.

In un proposito, se così si vuole chiamare.

Ma come tutti i buoni propositi, viene messo a dura prova dalla vita stessa.

In questo preciso momento viene messo a dura prova da questa sensazione di stanchezza.

Dovevo andare a letto presto ma no, figuriamoci!

Me lo ripeto ogni cazzo di mattina e ogni cazzo di notte penso che sto esagerando e che a 40 anni posso reggere un bicchiere di troppo e stare sveglia un'ora di più proprio come facevo quando ho iniziato a lavorare a 23 anni.

Questa mia convinzione è stata spazzata via nel momento in cui la sveglia è suonata alle 6.40 e per prima cosa un buon mal di testa mi ha dato il buongiorno.

Sono rimasta a rigirarmi nel letto lottando contro la voglia di chiamare la mia capa e dirle che nella notte sono stata male tanto da dover chiedere un giorno di malattia.

Ma, quando proprio stavo seriamente valutando di rimandare, mia figlia Jade di sette anni è piombata sul mio letto saltando sul materasso.

Aveva fame.
Dovevo portarla a scuola.
Fine della pace.

La mia coscienza mi ha presa a schiaffi e mi ha tirata giù dal letto in dieci secondi, quegli stessi secondi che sono serviti per riuscire a portare Jade in orario e fare arrivare me in ritardo.

Sono entrata nell'edificio correndo, già sudata, e con l'affanno solo un minuto prima che suonasse la campanella e subito mi ha accolto Matteo che con il solito sarcasmo mi ha detto "Arriva pure quando vuoi"

"Non sono in ritardo!" Ho bofonchiato strappandomi via il cappotto mentre salivo le scale a passo svelto rischiando di inciampare almeno cinque volte.

Percorro metà corridoio prima di sbattere contro Laura "Buongiorno!" Mi regala uno dei suoi soliti sorrisi dolcissimi prima di scrutarmi meglio con lo sguardo "..Ti serve un caffè. Ti copro io!" Sono tentata di rifiutare con garbo ma mi ritrovo decisamente d'accordo con lei tanto che la ringrazio accettando di cuore.

Appoggio il cappotto sulla prima sedia che trovo e decido di prepararmi il caffè.

Macchinetta a cialde.
Nero e senza zucchero.
Amaro come la mia vita.

Maledizione.

È l'unica parola che mi viene mentre mi massaggio nervosamente le tempie nella speranza di alleviare il mio mal di testa.

Stasera vado a dormire alle 21 e non si discute!

Il resto della mattina scorre abbastanza velocemente e devo dire che con la giusta quantità di caffeina in corpo posso davvero fare qualunque cosa. Ne ho contati 4 ma forse erano di più, la farmacista si era raccomandata di non superare i due giornalieri ma è chiaro che non ha idea dei ritmi di vita che conduco.

Madre single.
Con due caffè non arrivo viva nemmeno a metà mattinata.

La giusta quantità di caffeina si raggira intorno al litro e mezzo, ma sono sicura che lei non sarebbe affatto d'accordo con me.

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