Capitolo 30

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Melanie

Dopo aver finito di fare l'ultima lavatrice vado in camera. Mi basta aprire la porta per ritrovarmi Jason davanti.

«E tu quando sei arrivato?».

«Poco fa» risponde togliendosi la maglia e lanciandola sulla sedia. Essa cade, per questo mi avvicino per raccoglierla.

«Lascia fare, faccio io», quando faccio per abbassarmi mi strappa di mano la maglia e la butta sulla sedia. Raccolgo i panni sporchi e li ripongo nella loro cesta.

Non ho voglia di fare un'altra lavatrice adesso. È tardi e l'unica cosa che voglio è dormire, sempre se mi è permesso.

Tornata in camera inizio a spogliarmi davanti a lui.
Un tempo non resisteva nemmeno un secondo al mio corpo, adesso i minuti passano mentre cerco di traccheggiare fingendo di cercare un qualcosa che nemmeno io so.

«Posso sapere dove sei stato oggi?».

«Ad Oxnard» risponde mentre guarda il cellulare.

«Per fare?».

«Per lavoro».

«Jason non mentirmi, è domenica».

«È una cosa che ti avrei voluto dire non appena ne avessi avuto l'occasione» confessa.

«Dirmi cosa?».

«Ogni domenica sarò costretto ad andare lì. Devo farmi come amica una persona importante e far conoscere a tutti la nostra azienda. Può essere la nostra ancora» dice serenamente mentre continua a stare al telefono. Se c'è una cosa che odio di lui è proprio la sua indifferenza.

«Puoi guardarmi?» chiedo.

Alza lo sguardo e mi guarda.

«Non trattarmi con freddezza», mi siedo su di lui mettendolo in agitazione.

«Scendi».

«Non ti farei mai nulla che possa farti del male, mi devi credere», gli tolgo delicatamente il cellulare dalle mani gettandolo successivamente ai piedi del letto. Abbassa lo sguardo e nel mentre fa di tutto pur di non guardarmi.

«Ti prego».

«Cosa vuoi che ti dica? Per me non è facile fingere che vada tutto bene quando non è affatto così. Per giorni sono stato dietro ad un telefono, aspettando desiderosamente una tua chiamata, solo per sentire la tua voce, per sentirti più vicina a me quando chiaramente fisicamente non potevi esserci e cosa ho ricevuto in cambio? Il tuo silenzio. Ti sei dimenticata della mia esistenza in quei giorni passati a New York». Le sue urla rimbombano nella stanza. Bruscamente mi sposta da sopra di lui e si alza in piedi.

«Dove vai?».

«A dormire sul divano».

«Possiamo prima parlare?», lo supplico fermandolo per un braccio. Scuote la testa e dice: «Tutto quello che avevo da dirti te l'ho già detto. Non ho nulla da aggiungere al mio discorso, mi dispiace».

«Beh ma io sì e gradirei essere ascoltata».

I suoi occhi sono spenti. Quella luce che solitamente illumina il suo sguardo si è spenta improvvisamente.

«Mi dispiace tantissimo ma credimi che non avevo brutte intenzioni. Tornavo a casa tardi e mi dimenticavo» confesso ammettendo i miei errori.

«Ti sei dimenticata della persona che sostieni di amare?» domanda alzando un sopracciglio.

Sta cercando di mettermi in difficoltà con queste domande del cazzo, ma non gliela farò passare liscia.

«Può capitare a tutti di dimenticarsi una chiamata e questo di certo non stabilisce la quantità di amore che provo nei tuoi confronti» rispondo difendendomi. Non voglio iniziare con lui una conversazione strappalacrime, ma mi sembra giusto difendere i miei sentimenti. Le sue accuse sono fondate sul niente in persona.

«Può capitare certo... Ma una, massimo due volte».

«In una vita intera? Scherzi?». La sua risposta è veramente sciocca.

«No, ma bensì in così poco tempo. Sei stata via 5 giorni e se non fosse stato per me non ci saremo mai sentiti» mi rinfaccia, di nuovo.

«Ti ho chiamato una volta» lo correggo.

«Una, esatto» precisa.

«Ma te ti rendi conto di che parte stai facendo? Non ero a New York per una vacanza, stavo lavorando!!» replico infuriandomi come una bestia.

«Oh l'ho proprio visto. Tra le braccia di Christian laboravi?». Ed è lì che la mano parte da sola. Con il cuore in gola e l'adrenalina nel corpo, gli mollo un ceffone. Nella stanza cala il silenzio.

Se solo aprisse bocca so già che non riuscirei a dire niente. Mi sento già subito in colpa.
Perché l'ho fatto?

«Mi stai facendo passare come una poco di buono, cosa che non sono» ringhio a denti stretti.

Con ancora la faccia rivolta verso il basso, si tocca la parte colpita.

«Ti conviene farti un esame di coscienza perché altrimenti io da questa casa, già domani stesso, me ne vado» aggiungo rifiutandomi di guardarlo ancora. Esco fuori dalla stanza con un plaid in mano e vado a sdraiarmi sul divano. Il cuscino è troppo alto, ma non ho la minima intenzione di salire per prenderne un'altro.

Forse avrei dovuto lasciar fare a lui, almeno io adesso starei nel nostro comodo letto ma no. Non voglio stare dentro una stanza che mi ricorda lui.

È un controsenso lo so. Questa è casa sua. Ormai ogni angolo è marcato da Jason Lewis, ma per fortuna le sue foto, il suo profumo e i suoi trofei non si trovano in soggiorno.

One night more 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora