Capitolo 26

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Melanie

«E suo padre?» chiede Christian.

Mi irrigidisco subito a quella domanda.

«È un medico».

«L'ho forse messa a disagio?».

«No, solo che nell'ultimo periodo non mi piace molto parlare di mio padre» rispondo onestamente.

«Le chiedo scusa».

«Non si preoccupi».

«È stata un'ottima idea sederci qui e fare due chiacchiere, era da tempo che non mi capitava» commenta guardando l'interni di questo ristorante.

«È molto carino qui» replico.

Mi guardo attorno e fin quando non mi fermo ad ammirare le luci della città fuori dalla finestra.

«È bella soprattutto la vista» aggiungo.

«Non solo quella» aggiunge lui.

Lo guardo e cerco di trattenere un sorriso. Fallisco quando è proprio lui a sorridermi.

«Elogia in questo modo qualunque donna le si avvicini?» domando abbassando per un attimo lo sguardo.

«A dire la verità no, non mi capitava già da tempo».

«Da quando si è separato da sua moglie?» chiedo.

«Beh no, ho avuto altre frequentazioni ma nulla di serio. È difficile per me avere qualcuno disposto alle mie esigenze e devo ammettere che non sono per niente accomodante» spiega.

«Con me lo ha fatto. Vede? Mi ha fatto pure scegliere il ristorante» gli faccio notare.

«Mi hai beccato».

Entrambi copiamo a ridere fin quando non mi pone una domanda sorprendente.

«Sei fidanzata?».

«Sì».

«È ufficiale o si tratta di una frequentazione?».

«Siamo stati per mesi in sospeso, adesso è ufficiale».

«Non è da molto quindi?».

«No no».

Il silenzio che cala tra di noi è imbarazzante.

«Qual'è il suo uomo ideale?» chiede guardandomi intensamente negli occhi. Questa domanda mi intimorisce. Cosa mi prende?

«Non ho un ragazzo ideale. Deve soltanto essere fedele, rispettoso e leale nei miei confronti».

«Tendi più ai mori e biondi?».

«Mori».

«Capito». Quando abbassa lo sguardo sul tuo orologio colgo l'occasione per guardare fuori dal bar-ristorante.

Due ragazze giovani ci stanno guardando è una di queste punta la telecamera del suo telefono verso di noi.

«Ehm... mi scusi ma ci sono quelle due ragazze che ci stanno filmando» dico al signore Stewart.

Lui alza subito lo sguardo lo porta su quelle ragazze. Loro ridacchiano e imbarazzate se ne vanno.

«Se non ti senti a tuo agio qui possiamo andare da qualche altra parte» propone lui.

«Io onestamente me ne andrei anche in hotel. Non è troppo tardi però preferirei riposare» gli riferisco.

Sembra rimanerci male alle mie parole ma annuisce e chiede il conto.

«Quant'è? Ti do subita la mia parte», prendo la mia borsa ed estraggo il mio portafoglio.

«Non esisto, pago io».

«Non, non è necessario mi sentirei troppo in colpa. Per favore...», A farmi lasciare in sospeso la frase sono le sue parole che seguono.

«Per favore te lo chiedo io, lascia fare a me».

Lo ringrazio e lui si alza.

Mentre paga mi accorgo che fuori dal bar si sono ripresentate quelle due ragazze.

Innervosita esco fuori.

«Posso fare qualcosa per voi?».

Le due, incredule, si guardano e una di queste inizia a parlare.

«Noi ci stavamo chiedendo se per favore possiamo fare una foto insieme al suo compagno» confessa la biondina.

«Al mio che?».

Loro rimangano in silenzio.

«Se intendete il signor Stewart non è assolutamente il mio compagno, siamo colleghi» spiego.

«Oh mi scusi».

«Melanie ma dov...», la sua voce proviene da dietro.

«Signore la prego possiamo farci una foto?» lo supplica l'altra.

Lui mi guarda e io mi faccio da parte.

«Facciamo una cosa veloce».

Le due lo affiancano e insieme scattano perlomeno 5 foto ciascuna.

Lui le ringrazia e mi porta subito via.

«Vuoi che chiamo un taxi?» domanda guardandomi.

I miei occhi sono troppo impegnati a fissare il marciapiede di New York invece di guardare i suoi.

«No, tanto sono 15 minuti a piedi» rispondo.

«Mi dispiace che tu abbia assistito a questa piccola scena, so che può essere frustrante da sopportare all'inizio, ma vedrai che ci farai l'abitudine». Le sue parole non mi assicurano affatto, mi innervosiscono soltanto.

«Spero che sia così».

Dopo qualche isolato mi afferra per i polsi e mi porta in vicolo stretto.

«Cosa fai?». Sgrano gli occhi e cerco di trattenere la paura. Le sue mani mi riscaldano le guance.

«Nessuna donna è mai stata così silenziosa con me. Dimmi dove ho sbagliato, odio il silenzio» mi ordina.

«Temo soltanto di non essere all'altezza di tutto questo. Come hai già detto è strano per me vedere tutti ci fanno foto, mi guardano in modo diverso rispetto a prima e cose simili. Dovrò solamente abituarmi».

«Tu sei all'altezza di tutto, mi chiedo come sia possibile che tu possa sostenere il contrario...», con il palmo mi accarezza una guancia.

«Voglio tornare in hotel» ammetto e lui si stacca.

«Hai ragione, scusami».

Mentre mi in cammino sento in lontananza degli sghignazzamenti.

«Non girarti, è la stampa. Seguimi». Le sue mani finiscono intorno alle mie braccia fin quando non mi conduce in un taxi.

«Scusami...».

«Non fa niente» rispondo a malapena.

«Domani ti andrebbe di andare a fare un giro per New York con Louis? Io purtroppo ho quella cena a cui non posso proprio mancare».

«Ma certo, però se ha bisogno di me io mi offro disponibile».

«Non è necessario, ma grazie».

Annuisco e guardò fuori da finestrino. Lui si zittisce e aspettiamo di arrivare a destinazione.

Una volta scesi lo saluto con un bacio sulla guancia e rifiuto la sua gentilezza nell'accompagnarmi in camera.

One night more 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora