Capitolo 63

108 7 4
                                    

Melanie

Istintivamente afferrai la sua mano, proprio come ogni giorno, e me la portai al petto avvicinandomi sempre di più per non dargli noia con i fili.

«Dopo un mese ce l'hai fatta Jason, ci sei riuscito e finalmente stai dando speranza a tutti noi. Più di quanto già lo non riuscissi a fare».

Sorrisi al pensiero di riaverlo tra noi.

«Non so se puoi sentirmi, ma sappi che io ti aspetto. Hai cercato di farti odiare per anni da me, ma so che dietro il tuo disinteresse c'era amore».

Per la prima volta dopo un mese ero riuscita a parlargli, ad aprirgli il mio cuore. Aspettavo questo momento da tanto, ma quando mi sedevo su quella sedia tutto sembrava iniziare ad essere più difficile.

Non riuscivo mai ad aprire bocca, mi limitavo solo a guardarlo.

Passare ore così può sembrare faticoso, ma in realtà non mi pesava affatto. Avrei continuato a farlo se solo non si fosse messa in mezzo Ana.

Tra le due ero io quella che passava più tempo qui dentro, ma purtroppo la sua presenza non mi ha mai permesso di vivermi l'attimo.

Nelle ore di visita lei era la prima ad entrare insieme a Leila, mentre io ero quella che le aspettava. Solo dopo i controlli dei medici, che passavano ogni due ore, di soppiatto mi avvicinavo ed entravo in stanza.

Qualche volta sono riuscita a farmi beccare, ma per fortuna è sempre stata la solita persona. L'infermiera della stanza 145: era conosciuta così perché in quella stanza, pochi anni prima, trovò l'amore della sua vita e insieme hanno avuto 3 figli.

Ogni volta fingeva di non vedermi e mi faceva uscire senza prediche. Altre volte, invece, mi permetteva di entrare in orari di punta.

Insomma in poche parole era la migliore lì dentro, peccato le circostanze.

«Tu non mi puoi lasciare così, abbiamo ancora tante cose da fare insieme. Quindi ti prego... Torna da me».

Gli accarezzai il volto con il palmo della mano e aggiunsi: «Quando tocco il fondo, sei tutto quello che voglio e se, anche dopo più di 8 mesi, ci siamo ritrovati non credi che significhi qualcosa?».

Avrei tanto voluto ricevere una risposta in quel momento, ma non potevo pretenderla.

«Se riesci a sentirmi stringila anche a me la mano Jason... Ti prego». La mia richiesta fu talmente stupida che mi sentii una scema, una illusa.

Credere che queste cose potessero capitare nella vita reale era come credere a Babbo Natale.
Con Ana era stato un colpo di fortuna, una grazia, ma cosa poteva cambiare ora che al posto suo c'ero io? La risposta è una: nulla.

La mano rimase lì ferma e nessuno la strinse all'altro.

«Che stupida». Mormorai.

Chiusi gli occhi e appoggiai la testa sulle sue gambe. 
Malgrado la posizione scomoda non smisi di stringerlo a me. Sapevo che in quello stato non avrebbe mai potuto parlarmi, ma sentirmi forse sì. Doveva capire che nonostante tutto ero rimasta lì con lui.

Non me ne sarei mai andata veramente, perché non riesco ad immaginarmi un solo istante della mia vita senza quest'uomo accanto, ma quella sera mi spaventai come non mai. In un colpo solo persi dieci anni di vita.

«Ti amo». Una lacrima cadde sul dorso della fascia e uno strano formicolio vicino al pollice catturò la mia attenzione.

Sgranai gli occhi per capire meglio cosa stesse accadendo.

La fronte si corrugò da sola mentre le palpebre si stavano aprendo.

«Jason...». Per un attimo sperai che riuscisse ad aprire veramente gli occhi, per focalizzarsi sulla mia figura, ma quando mi accorsi della presenza alle mie spalle il medico ci interruppe.

«Si sta svegliando». Confessai.

«Signorina deve uscire ora». Mi ordinò rude.

Istintivamente mi alzai, ma qualcosa, o meglio dire qualcuno, tenne la mia mano stretta alla sua. 

«M-mel...». Furono le uniche parole che riuscii ad ascoltare. Il medico mi prese con forza e disse: «Quale parte della frase deve uscire ora non le è chiara signorina? Siamo dentro un'ospedale e si ricordi che lei qui, a parte in alcuni orari prestabiliti, non può entrare».

«Mi scusi...».

«Vada ad avvertire i familiari, adesso qui ci pensiamo noi». La porta mi si chiuse in faccia e in tre entrarono in stanza: il primario del reparto insieme a due infermiere.

Corsi subito in sala di attesa per dare la bella notizia e quando vidi sua madre non potei fare a meno di abbracciarla e sussurrarle all'orecchio: «Sì è svegliato».

One night more 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora