Capitolo 60

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Melanie

Al mio rientro in ospedale trovai nuove persone in sala di attesa.

«Che ci fate voi qua?». Chiesi ai miei mentre li sentii discutere con Leila.

«Melanie ciao, mi ha portato un po' prima papà perché oggi inizia di nuovo il turno, ricordi?».

«Sì». Risposi a malapena.

Dietro di lei vidi subito una figura familiare. Si trattava di Nila, la fioraia della città. Era conosciuta per le sue composizioni meravigliose e per gli addobbi che faceva ad ogni matrimonio.

«Ciao Melanie». Si avvicinò a me con gli occhi lucidi.

«Signora Nila, che ci fa lei qui?».

«Ho saputo tutto da Leila, mi dispiace...».

«È devastante tutto questo, ma cerco di andare avanti per lui».

«Ho una cosa per te...». Estrasse un piccolo biglietto tutto accartocciato e me lo porse.

«Che cos'è?». Chiesi dubbiosa.

La madre di Jason si avvicinò a noi e mi incitò ad aprire quel biglietto. Curiosa aprii per leggere cosa ci fosse scritto.

Ciao Nila,
sono passato dal tuo negozio senza rendermi conto dell'orario di chiusura.
Stasera ho litigato con la figlia dei Long e mi piacerebbe rimediare.
Per domani pomeriggio mi faresti trovare un mazzo di rose rosse?

Grazie e scusami <3

Quando smisi di leggere sua madre mi accarezzò le spalle. Mi scansai continuando a guardare quel bigliettino.

Jason aveva fatto quell'incidente mentre stava tornando a casa. Era andato da solo fin laggiù solo per me, per farsi perdonare.

«So cosa sta frullando adesso nella tua testolina, ma nessuno poteva saperlo Melanie...». La voce di Leila rimbombava in modo frustante nella mia testa.

«Era venuto da me per farsi perdonare tesoro». Replicò Nila.

«Hai sentito? Sei stata il suo ultimo pensiero fino a poco prima dell'incidente». Con quella frase non so se Leila stesse cercando di consolarmi o meno, ma di una cosa ero certa: avevo bisogno di vederlo.

«Se solo non ci fosse andato tutto ciò non sarebbe successo». La mano mi iniziò a tremare e il biglietto cadde a terra.

«Non è così, poteva capitare anche nella via di casa».

«Possibile che nessuno ha visto niente? La polizia non ha i filmati delle telecamere?».

«Le indagini sono ancora aperte, appena sapremo qualcosa sarai la prima a saperlo».

«È una settimana che è chiuso qua dentro e ancora non sappiamo niente». Ricordai ad entrambe.

«Lo sappiamo, ma sai quanto tempo ci vuole per una faccenda come questa? Purtroppo nessuno ha visto le dinamiche dell'incidente e Jason era da solo in macchina quella sera».

«Scusatemi, ma io adesso vado da lui». Superai entrambe dopo essermi stancata di ascoltarle parlare e mi avvicinai al lungo corridoio.

Quelle pareti blu scure mettevano tristezza e non leggerezza come il cielo.

«Non la riconosco più». Sentii dire da qualcuno.

«È ancora scossa, la notte la sentiamo piangere». Prosegui in lontananza un'altra voce femminile: quella di mia madre.

Arrivata difronte la sua stanza, feci un grande respiro ed entrai.

Una volta dentro chiusi la porta alle mie spalle e mi sedetti affianco a lui.

Presi la sua mano destra e la unii alla mia. Ci lasciai un dolce bacio e appoggiai la mia guancia sul dorso ruvido a causa della benda bianca.

Non riuscii a parlare, odiavo vederlo lì.
Meritava di stare ovunque, meno che qui. Di sbagli ne abbiamo commessi entrambi, lui in primis non si sarebbe dovuto mettere in testa una cosa così grande, ma nonostante tutto non si sarebbe mai meritato una condanna del genere.

Tutti commettiamo sbagli, io stessa quella sera non me ne sarei mai dovuta andare via, ma allo stesso tempo ero troppo arrabbiata per rimanere.

Avevo scoperto una parte Jason che non avevo mai visto prima d'ora, quel lato oscuro che, a causa del dolore vissuto, mi ha terrorizzato fin da subito.

Non riuscivo a vederlo così e pure dovevo reagire in qualche modo, perché in quel momento ero l'unica in grado di potergli dare forza.

Non potevo sapere come le cose sarebbero potute cambiare da lì a breve, soprattutto con l'arrivo di Ana, ma di una cosa sono certa: nessuno riuscirà ad allontanarmi da lui, non in un momento del genere.

Malgrado non potessi, restai rinchiusa in quella stanza per più di un'ora. Sapere di averlo lì, davanti a me mi dava speranza.

Tornai un'ultima volta in stanza poco prima del calare del sole e gli lasciai un dolce bacio sulla fronte.

«È tutto il giorno che sei qui in ospedale tesoro, vai a casa. Se ho notizie ti ho già detto come mi comporterò». Leila si avvicinò a me e mi prese il volto tra le mani. Le sorrisi e annuii.

«Cerca di riposare stanotte, hai delle occhiaie terribili» mi fece notare.

«Non dipende da me purtroppo, non è facile».

«Lo so, ma cerca di farlo per Jason».

Cercai di rassicurarla con un sorriso tirato per poi andarmene insieme alla mia famiglia, eccetto mio padre. Aveva il turno di notte e non poteva accompagnarci.

Avrei tanto voluto non controllare le mie paure, le mie crisi e i pianti, ma tutto questo era più grande di me e ogni notte mi risucchiava.

One night more 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora