Undici ☾

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Selene

Guardo il paesaggio scorrere fuori dal finestrino e mi sento come se fossi dentro un film.

La mia vita è cambiata così tanto negli ultimi giorni che, sebbene sia passata a stento una settimana da quando sono partita, mi sembra di non aver mai conosciuto altro che questo cielo limpido, con le montagne sullo sfondo e il verde acceso dei prati.

Sono in America, chi l'avrebbe mai detto.

Per un attimo penso a quello che ho lasciato in Italia e mi accorgo che qui, con un oceano di mezzo tra me ed i miei mostri, ho finalmente ripreso a respirare.

Ricaccio indietro i ricordi di quella notte che lottano per tornare in superficie e mi concentro sulla sensazione di calore che provo stando a contatto con la schiena di Kael.

Mi spaventa il modo in cui mi sento al sicuro quando sono con lui, come se nulla al mondo potesse farmi del male.

Mi avvinghio al suo torace come se da quell'appiglio dipenda tutta la mia vita e riesco a percepire il modo in cui i suoi muscoli si tendono ad ogni curva, per assecondare le strada.

Il suo respiro calmo risuona dentro il casco per via dell'interfono che ci collega.

«Tutto bene lì dietro?»

Gira leggermente la testa nella mia direzione ed io annuisco, tremando nell'aria fredda che mi sferza le braccia, prima di emettere un flebile .

A quel punto lo sento rallentare.

«Siamo già arrivati?» chiedo, mentre Kael ferma la moto tenendola immobile tra le gambe senza perdere minimamente l'equilibrio, come se fosse la cosa più facile del mondo.

«Scendi» si limita ad ordinare, con il solito tono di chi non ammette repliche.

«Sai che non puoi lasciarmi qui nel mezzo del nulla, vero?»

La sua risata virile risuona dentro il casco ed io mi rendo spaventosamente conto che potrei ascoltare quel suono per ore senza smettere di trovarlo così bello e che provo, malgrado tutto, uno strano senso di orgoglio nell'aver strappato un momento di gioia al suo perenne muso lungo.

«Devo ammettere che l'idea mi alletta» risponde, riprendendo la sua calma e il suo fastidioso sarcasmo. «Potrei liberarmi di te, se volessi» aggiunge, con un tono criptico e decisamente più serio. «Ma i miei fratelli non me lo perdonerebbero. A loro piaci»

A loro.
Non a lui.

Odio la parte di me che continua a comportarsi come un'adolescente con la prima cotta.

«A te no?»
Non ci credo. L'ho detto davvero?

«Scendi, forza» ribadisce, con tono burbero. «Non abbiamo tutto il giorno»

Mi muovo in modo terribilmente goffo e lento e lo sento sbuffare, spazientito, mentre, nel tentativo di scendere, quasi cado e sono costretta ad aggrapparmi a lui.

«Dov'eri quando distribuivano la coordinazione?»

«Ero in fila per la pazienza» ribatto, con sarcasmo, «Sai, nel caso in cui un giorno avrei trovato un pallone gonfiato come te con cui avere a che fare»

Emette un sospiro che mi graffia la pelle e che mi irradia dentro una sensazione di calore che non provavo da molto tempo. No, ti prego, mi dico, facendo appello a tutta la mia razionalità. Non lui. Non così, come l'ennesimo dei cliché.

Lo guardo togliere la giacca da biker che indossa e - mentre sono ancora ipnotizzata dal modo in cui le sue spalle si sono contratte in quel movimento, rivelandone ogni singolo muscolo scolpito - me la vedo arrivare addosso, riuscendo ad afferrarla appena in tempo.

LONE WOLFDove le storie prendono vita. Scoprilo ora