Un compromesso - 1

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° MATT

Odio l'estate. Odio il caldo che mi attacca la divisa addosso. Vorrei andarmene a mare, in qualche bella località balneare a riempire il tempo di drink e belle donne di cui molto probabilmente non ricorderò il nome la mattina successiva. Invece eccomi qui, sotto il caldo intenso fermo al semaforo rosso. Scatta il verde e parto con assoluta precisione lungo il viale che porta alla centrale di polizia. Parcheggio nella zona riservata e scendo sistemandomi la giacca. Varco la soglia della centrale e un odore di cornetti caldi mi arriva dritto alle narici. "Ciao Carl" mi tocco il cappello e procedo lungo la mia postazione. Non amo molto perdere tempo in chiacchiere. Mi siedo alla scrivania e valuto dei documenti lasciati la sera prima. "Matt? Vieni nel mio ufficio" il colonnello Darren compare improvvisamente davanti a me e così altrettanto scompare dalla mia vista. Sbuffo e con pigrizia mi alzo e vado nel suo ufficio. Che schifo. Puzza a schifo di fumo. "Mi è giunta voce che una donna occupa abusivamente un immobile nel quartiere di San lucca. Per favore vai a controllare. Non ne posso più di questi vagabondi che spaventano i bambini dei quartieri vicini" lo dice tutto d'un fiato prima di tornare a guardare i suoi documenti. Sembra infastidito. "Comandi colonnello. Vado immediatamente" esco dal suo ufficio - mi fermo al mio per recuperare il cappello - e mi avvio all'uscita. Brett, un uomo paffuto mi guarda al di sopra del computer. "Già all'opera Matt?" è qui da prima di me e sa benissimo il fatto suo, lo stronzo. Non credo che abbia poi così tanta simpatia per me, ma finge spudoratamente. Crede di prendermi per il culo, ma sinceramente non me ne fotte un cazzo. Io voglio solo sbrigare il mio lavoro senza rotture e poi godermi la vita. "Bisogna che qualcuno lavori" lo guardo un momento e poi esco dalla centrale. Peccato che questa volta avrei avuto a che fare con una donna. Bella giornata del cavolo. Le donne credono sempre di avere ragione su tutto. Motivo per cui sto ben alla larga dalle storie lunghe. Entro in macchina avvio il motore e parto. Per fortuna quell'immobile non è poi così lontano. San lucca è un quartiere poco frequentato a circa cinquecento metri dalla centrale. Parcheggio proprio sotto l'immobile abbandonato. Manco morto verrei a vivere qui. Scendo dalla macchina e mi sistemo i pantaloni. È quasi un mese che vado in palestra, ma sono più i numeri delle donne aggiunti alla rubrica dei veri e propri esercizi fisici. I veri esercizi sono quelli che faccio il sabato notte fino alle prime luci dell'alba con quelle che incontro. Supero il cancello e procedo verso il viale. C'è dell'erba che supera un metro e ottanta della mia altezza su entrambi i lati, e un odore di merda che non puoi evitare di sentire. Una porta in legno si presenta davanti a me mantenuta a stento contro la parete. "Cristo! Come fa quella donna a vivere così?" avvicino la mano e improvvisamente qualcosa mi vola sulla testa facendomi arretrare. "Merda!" mi spolvero la divisa e ritento. Per fortuna questa volta varco la soglia senza sorprese. Un enorme ambiente vuoto compare davanti ai miei occhi. Le pareti sono grige e piene di crepe, il pavimento ricoperto di foglie, terra e rifiuti vari. Sembra quasi impossibile immaginare un pavimento sotto ai piedi. Sulla mia destra - appeso alla parete - giace storto un vecchio quadro di cui ignoro il dipinto, ma quello che mi colpisce più di tutto è una scala che da al piano superiore. Afferro la pistola dalla cintura e cerco di fare meno rumore possibile mentre procedo lungo la scalinata. Quasi a metà strada dal piano superiore, un odore di soffritto mi arriva alle narici veloce come un fulmine. Deglutisco - e quando finalmente arrivo in cima al piano - una donna con i capelli rossi raccolti in una treccia, è di spalle davanti alla cucina intenta a mescolare con cura qualcosa in pentola. È chiaro che non si è accorta della mia presenza. Mi schiarisco la voce e con un sussulto la donna si volta e mi fissa con il cucchiaio di legno in mano. "Oddio! Che spavento che mi ha fatto prendere" il suo viso è la prima cosa che noto. Ha gli occhi azzurri, le labbra carnose e non sorride totalmente ma nei suoi occhi scorgo un po' di ironia. "Salve signorina. Io sono l'agente Matt Johnson. È sola? Sa che lei non può occupare questo posto?" inserisco la pistola nella cintura e mi sistemo nuovamente i pantaloni. "Oh, sì sì sono sola. Beh.. ecco io.."
"Devo chiederle gentilmente di abbandonare questo immobile. Signorina?"
"Josephine. Josephine Marshall. Ma può chiamarmi Joy"
"Bene Joy, deve lasciare questo immobile. Ha capito?" una puzza di bruciato invade l'aria che ci circonda. "Oh cavolo!" si volta di spalle e spegne il gas della piccola cucina. Mi chiedo come abbia fatto a procurarsi una cucina con la bombola se non ha soldi per pagarsi un appartamento. Qualcuno l'avrà aiutata sicuramente. "Ecco. Sì è bruciato tutto." prende la pentola e svuota il contenuto nel sacco nero della spazzatura, e del fumo compare all'estremità della busta. "Signorina Joy? la busta sta fumando" scoppia a ridere portandosi una mano alla bocca. "Oh non si preoccupi, non prenderà fuoco. L'unica cosa è che adesso non so cosa cucinare a pranzo. Non ho altro in dispensa." mi guardo un momento intorno. Caspita questo posto è sistemato bene, sembra non faccia parte del piano di sotto. Sembra una cucina di un appartamento comune a Edison Valley. Sulla destra c'è un piccolo frigo, un tavolo quadrato, e due sedie. Sulla sinistra invece, c'è un divano letto. Le lenzuola sono ancora disfatte. Accanto ad esso un mobiletto malandato con un anta appesa. Torno a guardarla e sul suo volto aleggia un espressione preoccupata. "Se la porto a mangiare, visto che ha bruciato ciò che le rimaneva, accetterebbe di raccontarmi...beh..questo?" le indico con lo sguardo la stanza. Mi guarda un momento, immobile, quasi come se fosse combattuta se accettare o meno. Quasi impaurita da quello che potrei scoprire. "Allora?"

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