Capitolo 40

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Eliana

I raggi del sole filtrano delicatamente attraverso la grande finestra della nostra stanza, creando un gioco di luci che si riflette sui muri chiari. Mi sento strana, ancora incredula nel chiamarla nostra, questa casa che ora condividiamo. Il pensiero di avere un posto così importante insieme a lui è dolce e intimidatorio al contempo.

Mi volto a guardarlo mentre dorme, la bocca leggermente aperta, un braccio sul petto e laltro avvolto intorno alla mia vita. È una visione che mi riempie di serenità, un quadro che non avrei mai immaginato di poter contemplare.

Mentre lo fisso assorta nei miei pensieri, una voce roca mi riporta alla realtà: «Mi sciupi così». La sua voce è ancora impastata dal sonno, ma quel sorriso accennato mi fa battere il cuore più forte.

«Buongiorno anche a te», gli rispondo con un sorriso dolce, cercando di alzarmi dal letto. Ma lui, con un gesto deciso, mi riattira a sé, stringendomi forte. «Rimaniamo così ancora un po», dice, e io mi arrendo volentieri alla sua richiesta.

Passiamo tutta la mattina tra coccole e carezze, il tempo sembra fermarsi, sospeso in un attimo di pura felicità. Poi decidiamo di andare nelle nostre vecchie case per prendere il necessario per iniziare a vivere qui. Con il passare del tempo porteremo tutto, ma per ora ci basta lessenziale per iniziare questa nuova avventura insieme.

La nostra giornata scorre lenta, il tempo dedicato a recuperare pezzi del nostro passato per costruire un nuovo futuro. Ma cè una cosa che non riesco a togliermi dalla testa. Cè un luogo che non visito da otto anni, un luogo che ho evitato a lungo, ma che oggi, non so per quale motivo, sento il bisogno di rivedere.

Mi ritrovo di fronte a quella casa, la casa della mia infanzia. Non ci passavo vicino nemmeno per sbaglio, ma ora sono qui, ferma a osservare quel prato che sembra curato come se il tempo non fosse mai passato. Fuori dalla porta, ci sono ancora i nostri tre nomi, quelli che una volta rappresentavano una famiglia.

Con il cuore che batte forte, mi avvicino e busso al campanello. La porta si apre, e lì, di fronte a me, cè mio padre. Mi guarda con le lacrime agli occhi, visibilmente emozionato. «Eliana» dice, e la sua voce è un sussurro, uneco di un passato doloroso.

«Papà» rispondo, la mia voce incrinata dallemozione. Restiamo a fissarci, il silenzio carico di cose non dette. La somiglianza tra noi è sorprendente, e in questo momento è più evidente che mai.

«Beh dimmi, vuoi entrare?» chiede con una voce tremante, e io annuisco, incapace di pronunciare altre parole.

«Vuoi un caffè? Acqua?» domanda mentre mi fa accomodare, e io rispondo con un semplice: «Acqua, grazie».

Noto che tutto è rimasto uguale a prima. È come se il tempo si fosse fermato in questa casa. Mi porge un bicchiere d'acqua, e mentre lo bevo, osservo ogni angolo, ogni dettaglio che mi riporta indietro nel tempo.

«Noto che non hai cambiato nulla», dico, cercando di mascherare la nostalgia con un sorriso forzato.

Lui accenna un sorriso lieve, un sorriso che parla di rimpianti e desideri mai espressi. «Niente, la tua stanza è ancora piena dei tuoi scatoloni», risponde, e il suo tono è un misto di tristezza e speranza.

Mi guarda intensamente, gli occhi pieni di lacrime. «Ely, scusami per tutto, per non averti cresciuto come si deve, per essere stato assente e per non aver fatto il padre. Ti ho mostrato il lato peggiore di un uomo, con i miei problemi di alcol e droga. Da quando te ne sei andata ho smesso, ma non ti ho cercato perché pensavo che mi avresti odiato. E sono sicuro che ancora mi odi.»

Le sue parole mi toccano nel profondo. Vedo la sincerità nel suo sguardo, ma sento anche il peso del passato che mi ha negato linfanzia che avrei voluto. Se non fosse stato per Niccolò e i Miserabili, non sarei mai tornata qui. «Non dico che il nostro rapporto migliorerà, ma era giusto chiarire», rispondo, cercando di mantenere un tono neutro.

Lui mi abbraccia, un abbraccio paterno che mi è mancato per vent'anni. È un gesto che mi riempie di emozioni contrastanti, un mix di amore e dolore. «Adesso vai in camera a vedere se vuoi buttare qualcosa», dice con un sorriso incerto.

Salgo le scale, i ricordi di quando correvo su per quei gradini con Adriano o quando Gabriele veniva a rubare le birre di papà, o ancora Niccolò che si intrufolava di nascosto la sera, mi fanno sorridere. Apro la porta della mia vecchia camera e trovo tutto come lavevo lasciato: i dischi di Vasco appesi alle pareti, le foto con i miei amici, i pochi scatoloni che avevo lasciato qui. Molte cose le avevo portate con me a New York, ma questi scatoloni contengono frammenti del mio passato che non avevo avuto il coraggio di portare con me.

Apro uno scatolone e trovo vecchie foto di me e Niccolò, le sue lettere, le sue prime canzoni, frasi scritte su fogli, rose secche, e la collana con la chiave identica alla sua. Pensavo di averla buttata, ma eccola qui, un simbolo di un amore che ha resistito a tutto.

Non posso fare a meno di mandargli un messaggio, unonda di nostalgia mi travolge.

A amore:

Amoo guarda qui, come eravamo giovani più di 15 anni fa

Da amore:

Mazza che brutto che ero

A amore:

Stasera ci vediamo?

Da amore:

Sì, finisco di portare gli scatoloni a casa

A amore:

Perfetto così da domani possiamo stare lì.

Lancio il telefono sul letto e continuo a buttare le cose inutili. Dopo aver preso tutto quello che mi serve, vado ad abbracciare papà un'ultima volta. È un momento di riconciliazione che non pensavo sarebbe mai arrivato, ma che ora mi sembra il giusto passo verso una nuova vita.

Torno a casa, faccio una doccia e mi preparo per la serata con Niccolò. Cè ancora tanto da fare, ma sento che un capitolo importante della mia vita si è finalmente chiuso. Ora sono pronta per iniziare un nuovo capitolo, uno che scriverò insieme a lui, nella nostra casa, con il nostro amore

Neve al sole noiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora