Capitolo 60

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Eliana

Sono passati sette mesi. Sette mesi di nausee, sbalzi d'umore, mal di testa e mal di schiena. Non è stato facile, e devo ammettere che Niccolò ha avuto una pazienza infinita sopportando ogni mio lamento e ogni mio capriccio. Ora sono stesa sul divano, con il pancione tra le mani, mentre Niccolò gioca alla PlayStation. Lo guardo, irritata che non mi stia dando le attenzioni che merito in questo momento così delicato.

«Nic, non pensi che dovresti prestarmi più attenzione?» gli dico con tono seccato.

Niccolò, senza distogliere lo sguardo dallo schermo, risponde distrattamente: «Amore, un attimo, sono quasi alla fine del livello...»

Sbuffo, e con uno scatto mi alzo dal divano. Improvvisamente, un’ondata di vertigine mi assale, e per poco non svengo. Sento qualcosa di caldo scorrere lungo le gambe e mi accorgo che le acque si sono rotte. Il dolore è intenso, e mi aggrappo al divano per non cadere.

«Nic! Le acque... mi si sono rotte! Dobbiamo andare in ospedale!»

Niccolò salta su come una molla, lasciando cadere il controller. «Che cosa? Oh Dio, aspetta! Dove sono le chiavi? Dove sono le chiavi?!»

Corre in giro per la stanza, cercando freneticamente le chiavi della macchina. «Calmati, Nic, sono lì sul tavolo!» gli urlo, cercando di rimanere calma nonostante il dolore crescente.

«Giusto, giusto!» dice, afferrando le chiavi. Mi aiuta a vestirmi in fretta, poi mi prende per mano e mi guida fuori di casa, verso la macchina.

Mentre guidiamo verso l'ospedale, Niccolò è in preda al panico. «Stai bene? Quanto dolore senti? Sei sicura che dobbiamo andare in ospedale subito? E se... e se non facciamo in tempo? Oh mio Dio, sta succedendo davvero!»

«Nic, calmati! Respira profondamente e concentrati sulla guida. Sto bene, ma dobbiamo arrivare in ospedale il prima possibile.»

Lui annuisce, visibilmente nervoso. «Sì, sì, hai ragione. Mi dispiace, amore. Sto solo cercando di non perdere la testa.»

Arriviamo all'ospedale e, non appena varchiamo la soglia, mi portano immediatamente in sala parto. Niccolò è accanto a me, ma è sbiancato come un cadavere. La scena, per quanto seria, mi fa quasi tenerezza.

La dottoressa mi chiede come mi sento e mi rassicura che tutto andrà bene. Niccolò è fuori dalla sala, parla al telefono con tono agitato, probabilmente informando i nostri amici e familiari della situazione. La dottoressa lo vede e va a chiamarlo, chiedendogli se vuole stare accanto a me durante il parto.

«Vuole entrare, signor Ultimo? Sua moglie ha bisogno di lei.» Gli dice con un sorriso rassicurante.

Niccolò entra, visibilmente preoccupato ma deciso. «Amore, sono qui. Ti tengo la mano, ok?»

Lo guardo, e nonostante il dolore, sento un’ondata di amore e gratitudine per lui. «Grazie, Nic. Non lasciarmi.»

«Mai, Eli. Non ti lascio mai.»

Il travaglio è lungo e doloroso. Stringo la mano di Niccolò così forte che geme per il dolore, ma non si lamenta. Finalmente, dopo ore che sembrano eterne, la dottoressa annuncia: «Ecco, è nato! Un bellissimo bambino.»

Mi accascio sul letto, sfinita. Niccolò, con le lacrime agli occhi, mi guarda e dice: «Eli, sei stata incredibile. Sei bellissima anche in queste condizioni.» Mi bacia dolcemente, e gli sussurro che lo amo prima di chiudere gli occhi.

Neve al sole noiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora