Onora il padre e la madre.
La prima volta che avevo sentito quel comandamento, le avevo chiesto: «Che significa onorare qualcuno?»
Lei non mi aveva risposto subito.
Eravamo nel suo studio, la stanza che, da che ne avevo memoria, era il mio nido d'apprendimento. Spoglia e arida come il resto della nostra villetta, pareti bianche e terse come lenzuola appena lavate e stese ad asciugare, il sottile effluvio dell'incenso, una finestra a lato che faceva da quadro artistico, mostrando sull'orizzonte il paesaggio della nostra città: monti alti e imperiosi a susseguirsi in incastri così bizzarri che avresti pensato esser impossibili per la natura, eppur stavano, loro, divinamente, a mo' di sfottò e presa in giro, sfoggiavano il rosso castagno che impregnava le loro rocce con disinvoltura tale da farti credere che fossero proprio quelle rocce e non il sole a tingere il tramonto.
Erano i soli colori che conoscessi: là, irraggiungibili, alla finestra.
Perché nella nostra casa vigeva la sterilità, un'ode costante alla parsimonia, e anche quello studio non ne era esente; il solo nucleo gravitazionale in cui ogni cosa esisteva e respirava era il tavolino in legno dove ci sedevamo, io per studiare e lei per insegnarmi e addestrarmi.
Non più figlia e non più madre, noi, non più sangue derivato dal sangue, ma allieva e maestra, bambina e Signora.
Io amavo quei momenti, erano tra i miei preferiti.
Perché, anche se poche volte, riuscivo a incrociare il suo sguardo.
Quegli occhi verdi che mi precludeva di giorno in giorno, che rifuggivano dai miei uguali, che riuscivo a vedere bene solo alle mie spalle e dentro i contorni netti di uno specchio. Ma quando riflessi, non erano più occhi, non erano più sguardi, era giudizio divino e concreto, tessuto con zelo dalla sua voce, a porre domande sempre diligenti, attente a qualunque dettaglio, così da farmi ammettere ogni mia colpa.
Quando riflessi, non erano più occhi, non erano più sguardi, erano aratri che rivoltavano il terreno della mia innocenza per rivelare i primi semi e germogli dell'errore, e così nemmeno i miei erano più occhi, nemmeno i miei erano più sguardi, erano sorgenti irrefrenabili di pianti avidi e ingordi a un punto tale da farmi credere che il male del mondo intero si fosse incarnato in ciascuna mia lacrima.
E davanti a quel quesito, per la prima volta, l'avevo vista esitare. Una situazione che mi era ignota, perché la Signora sapeva sempre tutto, la Signora conosceva sempre tutto; ma la fronte le si era accartocciata, stavolta, un velo di dubbio le era calato sullo sguardo di solito cristallino, ed io avevo sentito il cuore agitarsi da ogni parte quando mi aveva guardata sul serio, quando avevo avuto il privilegio di poterla finalmente vedere ed esser vista.
Era bella, la mia mamma.
La creatura più bella che abbia mai scorto.
Una chioma bionda e pelle diafana, il fisico fruttuoso ma privo d'eccessi, che ad osservare avresti creduto essere una statua greca che aveva preso vita, sempre in un costante equilibrio che raggiungeva con l'austerità della sua anima integerrima. Labbra carnose e ciglia fitte e folte, un viso a cuore gentile, unghie rosate e vestiti sempre eleganti a fasciarle il corpo. Ma il suo fascino maggiore, per me, era la gola: alta e snella, una circonferenza perfetta, con due piccoli nei in fila proprio a metà strada. Da lontano avresti potuto confonderli per il morso di qualche insetto, e invece erano solo pigmenti naturali della sua carnagione.
Aveva schiuso la bocca, la bocca tremante, aveva sussurrato con gli occhi chini sul libro aperto sotto di sé: «Significa amarli e obbedire sempre alle loro regole.»
E io l'avevo amata.
E avevo obbedito.
Sempre.
Alle sue regole.

STAI LEGGENDO
Ignobili affetti
ChickLitAgatha e Lawrence sono figlia e padre e il loro era un amore talmente profondo da non lasciarsi fermare nemmeno dal grande ostacolo che li separava: i loro rispettivi segreti. Insieme, infatti, avevano riscoperto l'incanto e la meraviglia dell'affet...