Il peso del passato

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ELRIS

Nel pomeriggio il cielo diventò grigio e la pioggia scendeva fitta, battendo sui marciapiedi e sui tetti con un ritmo ossessivo. Mi infilai l'impermeabile nero, e le gocce sembravano danzare sulle spalle mentre camminavo per le strade vuote. Ero diretta a una piccola cappella, un rifugio silenzioso tra i vicoli del Bronx. Oggi era l'anniversario della morte di mia nonna. Quel pensiero mi bruciava dentro, come una fiamma che non si spegne mai.

Una parte di me odiava quella sensazione, considerandola debolezza, mentre un'altra ne era consumata. In testa, due voci distinte parlavano, quasi come se fossi accompagnata da una versione più giovane e fragile di me stessa e da una parte più fredda e distaccata, che mi spronava a non cedere.

"Stai facendo una cosa stupida," mi diceva quella voce. "Questi sentimenti ti rendono debole. Ricordi cos'è successo l'ultima volta che hai abbassato la guardia?"

Stringendo i pugni per fermare il tremore, cercai di ignorare quella parte di me, sforzandomi di concentrarmi sul suono della pioggia. Ma i sussurri nella mia testa non si fermavano.

Arrivai alla cappella e aprii la porta cigolante. Non c'era quasi nessuno all'interno, a parte qualche volto noto, tra cui Nick, il calzolaio di uno dei mercati che conoscevo da anni. Era uno dei pochi che sembrava non temermi. Mi sedetti su una delle panche e abbassai lo sguardo. Il silenzio della chiesa mi offrì un attimo di sollievo, finché una nuova voce emerse dentro di me, questa volta sommessa, quasi infantile.

"Ti ricordi il suo sorriso? Lei non avrebbe voluto che diventassi così..." La mia testa vibrava a quella frase, come se fossi stata colpita da un pugno invisibile. Sapevo bene di cosa parlava quella voce: del rimorso, del dubbio che, forse, tutto ciò che avevo costruito fosse un tradimento alla memoria di mia nonna.

Nick si sedette accanto a me, porgendomi una rosa bianca. Mi girai di scatto, come se mi fossi svegliata da un incubo.

"Era il suo fiore preferito, giusto?" mi chiese con una voce gentile. Annuii, stringendo il fiore tra le mani. Mia nonna aveva sempre amato le rose bianche, simbolo di purezza e speranza. Mi chiesi cosa avrebbe pensato di me, ora che ero diventata l'incubo di molti e il simbolo di potere per altri.

"Ti stai lasciando indebolire," mi sibilò di nuovo quella voce spietata. "Questi pensieri ti porteranno alla rovina. Dimentica. Lascia andare." Un senso di rabbia mi assalì, ma non era diretta verso gli altri. Era come se stesse covando dentro di me, come se fossi imprigionata da me stessa.

Abbassai lo sguardo e inspirai profondamente, cercando di calmare la tempesta nella mia mente. L'altra voce, più dolce, cercava di opporsi. "Devi perdonarti, Elris. La tua forza non risiede nella crudeltà, ma nel saper lasciare andare il passato."

Serrando la mascella, decisi di ignorare entrambe le voci. Sentii un sudore freddo sulla fronte, nonostante il clima gelido della cappella. Nick mi guardava, come se cercasse di leggere dentro di me. Ma non poteva. Nessuno poteva capire cosa stesse accadendo nella mia mente, perché la verità era che non lo capivo neanche io.

Mi alzai dalla panca, il fiore ancora tra le dita. Mi avvicinai all'altare e lo posai lì, sforzandomi di calmare quel vortice di pensieri contrastanti. "Ecco, questo è per te," sussurrai a mezza voce, come se mia nonna potesse sentirmi. Subito dopo, però, una risata sprezzante risuonò nella mia testa.

"Pensavi davvero che questo fiore potesse cambiare qualcosa? Guarda cosa sei diventata. E credi che sarebbe stata orgogliosa di te?"

Senza accorgermene, stavo stringendo i pugni, e le mie nocche erano bianche per la tensione. Nick mi osservava, probabilmente notando il tremore nelle mie mani. Mi sentivo nuda e vulnerabile sotto quello sguardo.

𝕯𝖆𝖓𝖌𝖊𝖗𝖔𝖚𝖘 𝖌𝖆𝖒𝖊𝖘Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora