L'ultima proposta

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ELRIS

L'odore di tabacco e alcol saturava l'aria del vecchio magazzino. Seduta al centro di un tavolo scuro, con le mani serrate attorno a un bicchiere vuoto, sapevo di essere circondata da uomini che non avrebbero mai ascoltato un discorso pacifico. I capi delle bande locali – cicatrici e sguardi induriti – mi osservavano con diffidenza, ma non mi interessava. In fin dei conti, non avevo paura di loro. Avevo affrontato mostri ben più grandi di qualsiasi loro minaccia.

«Ancora con questa storia della pace, Elris?» ringhiò Julian,leader di una delle bande che non mi aveva ancora accettato, avvicinandosi al tavolo con un tono che mi faceva rabbrividire. Ma non avevo paura, e non ne avrei mai avuta. La mia mente era affollata di ricordi di inferno, un mondo che avevo conosciuto e sopportato. Quella sala era solo un altro campo di battaglia.

Chiusi gli occhi per un attimo, cercando di controllare la frustrazione che mi ribolliva dentro. Sapevo che questo incontro era cruciale. Se non avessi trovato un compromesso, saremmo stati trascinati in un conflitto che avrebbe devastato tutto.

Respirai a fondo e ripresi a parlare, la voce che tremava di tensione. «Sono stanca di ripetermi, Julian. Le guerre che continuate a farvi non porteranno a nulla se non a bare piene. Immaginate il territorio diviso, ogni gruppo con il suo spazio, i propri affari, senza doversi guardare le spalle ogni maledetto minuto.»

Sebastian, il capo dei crow, esplose in una risata amara. «Sei davvero così ingenua, Elris? Nessuno qui vuole spartire nulla. Ogni centimetro che concediamo è una ferita alla nostra autorità. E tu, con questa tua idea romantica di pace... sei fuori di testa.»

Le sue parole mi colpirono come un pugno, ma non potevo lasciare che la rabbia avesse il sopravvento. Non avevo tempo per le loro insensatezze. «Lo sguardo del potere, sebastian, può abbagliare, ma ho visto uomini cadere per ambizioni ridicole. La guerra vi porterà solo alla morte. Ne ho viste abbastanza di vite sprecate per colpa di uomini come voi. Non ho paura della vostra violenza. Ho affrontato l'inferno e sono sopravvissuta. Cosa può farvi pensare che io tema un po' di rumore?»

Marco tentò di ribattere, ma lo interruppi. «Non provare nemmeno a parlare. Se pensate di poter gestire questa città senza di me, fatelo. Vediamo quanto durate. Ma sappiate che, se decido di scatenarmi, nessuno di voi avrà scampo. La mia pazienza ha un limite, e ho visto uomini più forti e spietati di voi andare in frantumi di fronte alla mia determinazione.»

La stanza cadde nel silenzio. Gli uomini mi fissavano con un misto di sorpresa e timore, come se stessero vedendo per la prima volta il vero volto di Elris. Non ero più la donna pragmatica che conoscevano, ma una fiamma che bruciava di rabbia, una forza incontrollabile.

«Elris, stai esagerando. Rischi di scatenare una guerra,» cercò di dire Jake, il mio alleato, con tono preoccupato.

Mi voltai verso di lui, e nel suo sguardo vedevo la preoccupazione. Ma ero oltre la razionalità. «Forse una guerra è proprio ciò di cui hanno bisogno per imparare la lezione. Forse l'unico modo di risolvere questa situazione è lasciare che si distruggano tra di loro. A questo punto, chi se ne frega. Ho passato anni a sopportare dolori indicibili; non c'è nulla che possano farmi che non abbia già affrontato.»

Jake si fece avanti, cercando di farmi tornare alla calma. «Non sei così, Elris. Questa non è la strada giusta. Sei qui per trovare una soluzione, non per incendiare tutto. Devi tornare in te.»

Mi liberai dalla sua presa, e mi rivolsi di nuovo ai capi delle bande, la voce spezzata ma carica di determinazione. «Ascoltate, ho provato a ragionare, ma voi continuate a respingere ogni tentativo. Se preferite continuare così, allora fate pure. Ma sappiate che, se un solo uomo, una sola persona innocente verrà coinvolta in questa guerra, verrò per ognuno di voi. Non avrò pietà. Non mi fermerò di fronte a nulla.»

Questa volta, le mie parole non lasciarono spazio a dubbi. I capi delle bande si guardarono tra loro, visibilmente scossi. Sapevano che ero capace di mantenere le mie promesse, e il peso delle mie parole aleggiava come una condanna.

La notte si era fatta scura mentre mi allontanavo dal magazzino, con le parole dei capi delle bande che rimbombavano nella mia mente. Sapevo di aver colpito nel segno, ma il peso della mia decisione gravava sulle spalle. Dovevo trovare un modo per fermare il conflitto prima che diventasse una guerra aperta. E per farlo, avevo bisogno della loro collaborazione.

Un paio di giorni passarono, e le tensioni nella città si facevano sempre più palpabili. La notizia della mia proposta aveva iniziato a circolare tra le bande, creando una frattura tra chi era disposto a considerarla e chi si opponeva a qualsiasi tipo di accordo. Sapevo che dovevo fare qualcosa di audace, qualcosa che potesse attrarli e, soprattutto, spingerli a unirsi contro la minaccia che rappresentavamo

L'idea mi colpì in un istante, chiara e brillante nella sua semplicità: avrei organizzato un grande ballo. Non sarebbe stata una semplice festa, ma un evento esclusivo, un'opportunità per i capi delle bande di sedersi come veri signori, abiti eleganti e calici in mano. Sapevo che l'idea di una festa li avrebbe sorpresi, forse perfino irritati, ma era proprio quel tipo di gesto audace che poteva risvegliare in loro la curiosità.

Iniziai a inviare inviti con cura, scegliendo parole che stuzzicassero il loro ego. "L'occasione di una vita," scrivevo, "per espandere le vostre ricchezze e il vostro potere oltre i confini della città." Gli stati vicini erano ricchi di territori da sfruttare, mercati da controllare, contatti politici e affari che aspettavano solo qualcuno abbastanza audace da approfittarne.

Per fare davvero colpo, decisi anche che non mi sarei limitato ai capi delle bande locali. Espansi gli inviti a organizzazioni e uomini influenti oltre i confini del Bronx, personaggi con cui avevo avuto contatti solo di sfuggita, e di cui avevo sentito parlare in città lontane e potenti. Sarebbe stato un ballo come nessun altro: non solo un'occasione per trattare questioni locali, ma un'opportunità per aprire nuovi mercati e stringere alleanze internazionali. Avrei consolidato la mia influenza, trasformando il Bronx in un centro strategico di potere e affari

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