Ricordi devastanti

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                               ⚠️scene forti⚠️

ELRIS

periodo di prigionia, Elris 15 anni

Ho perso il conto degli anni. Non so più quanti inverni siano passati. La luce del giorno è un ricordo lontano, quasi irreale. Tutto ciò che vedo è questo buio eterno, rotto solo dalla fioca luce che filtra dalla fessura in alto, dove qualcuno, forse una volta al giorno, mi lascia un pezzo di pane stantio e una scodella d'acqua torbida.

Non ricordo nemmeno la mia ultima ora di sonno profondo. Ogni volta che chiudo gli occhi, sento lo scricchiolio del ferro contro la pietra e il clangore delle porte che si aprono. E ogni volta so cosa mi aspetta.

Mi portano di peso fuori dalla cella, trascinandomi nei corridoi umidi, le caviglie e i polsi segnati dalle catene. I miei carcerieri non dicono nulla; il silenzio rende tutto più spaventoso, più insopportabile. Ogni loro movimento è calcolato, preciso. Anche il modo in cui mi gettano su quella sedia arrugginita, mi lega i polsi e mi blocca i piedi. Mi lasciano lì, in attesa.

Il silenzio è così opprimente che quasi desidero che inizi. Quasi.

Ma poi arriva il rumore che temo. La porta che cigola, i passi che si avvicinano lenti. Ed eccolo lì, il carnefice. Il suo volto mi è sconosciuto; indossa una maschera di cuoio nero, con solo gli occhi visibili, freddi e indifferenti. In mano ha un attizzatoio arroventato, la punta rossa che brilla come un piccolo sole nel buio.

"Ancora non hai parlato, Elris," dice, con una voce bassa, monotona. È un tono che ho sentito centinaia di volte, una litania che mi perfora la mente come un chiodo. "Ancora non hai rivelato dove sono i soldi."

Lo guardo senza rispondere, perché so che le parole sono inutili. Ho ripetuto più volte a queste persone che non so dove tenga i soldi mio padre, ma loro non credono a nulla. Ho sopportato ogni agonia, ogni singolo insulto alla mia carne e alla mia mente. Mi hanno rotto le ossa, mi hanno lacerato la pelle, hanno provato a distruggermi in ogni modo possibile.

Continuo a rimanere in silenzio, perché qualsiasi risposta che non soddisfi la sua domanda mi recherà solo altro dolore.

Come sempre, lui comincia. La punta rovente si avvicina alla mia pelle, e l'odore della carne bruciata mi colpisce prima del dolore. È un dolore che non si può descrivere, che attraversa ogni fibra del mio essere, come se mi stessi frantumando dall'interno. Stringo i denti, i muscoli del collo tesi, ma non grido. Non posso dargli quella soddisfazione.

Il torturatore sospira, quasi seccato dalla mia resistenza, e cambia strumento. Prende delle pinze, fredde questa volta, e le fa scattare con un suono metallico. Le avvicina alle mie dita, le afferra una ad una, le torce con una lentezza crudele, godendo della mia sofferenza silenziosa. Le unghie iniziano a staccarsi, una ad una, il dolore è lancinante, e il sangue mi cola sulle mani. Ma io resto muta, gli occhi fissi nel vuoto, concentrata solo sul ritmo del mio respiro, l'unica cosa che mi appartiene ancora.

"Prima o poi parlerai," sibila. "Tutti parlano."

Eppure non lo faccio. Continuo a restare in silenzio, persa nei ricordi. Mi aggrappo a quei frammenti di libertà, alla mia vita passata, al potere che avevo. In quei momenti, persino il dolore si attenua, diventa una cosa distante, mentre la mia mente vaga altrove.

Quando se ne va, quando la tortura finisce e il dolore rimane a pulsare nella mia carne martoriata, sono ancora lì, in silenzio. Ogni volta penso che forse sarà l'ultima, che non tornerà. Ma ogni volta, so che mi illudo. Perché il giorno dopo tornerà, con altri strumenti, altre parole.

***

Elris 17 anni

Il buio della cella è ormai una seconda pelle, e la realtà è diventata una sottile linea che separa il dolore dai sogni. Ogni giorno, loro arrivano. Ogni giorno mi riportano a una realtà fatta di spine e ossa spezzate, sussurri taglienti e risate soffocate che mi risuonano in testa come coltelli.

𝕯𝖆𝖓𝖌𝖊𝖗𝖔𝖚𝖘 𝖌𝖆𝖒𝖊𝖘Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora