La partita

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Ilcoperchio del cassonetto sbatté rovesciandogli addosso il tanfomarcio dell'immondizia. Poteva consolarsi con una sigaretta,nascosto dalle fronde di un abete: sua madre, udendo le voci deglialtri ragazzi, avrebbe creduto che fosse con loro. Nel cieloaleggiava ancora un barlume rosato, ma quell'angolo di giardino,vicino ai cassonetti, era buio e intimo. Oltre al fumo, gliarrivavano a tratti il rancido della spazzatura, l'odore gelidodelle conifere e un freddo insolito, per il quale avvertì un brividosulla nuca che s'insinuava giù lungo la spina dorsale. Ma potevarilassarsi: finalmente via da quella tensione che aveva dominatotutta la cena, via da quella nuova luce domestica che era fonte, perlui, di uno strano disagio.

Attorno era silenzio, salvoil classico canto dei grilli e strani fruscii e rumori attutiti, comedi qualche viscida creatura che strisciava lungo i muri.

Ad un tratto, passi nelcortile.

«Christian!» Lui non mosseun dito. «Christian, sei tu? Vedo una lucetta gialla. Alzala per trevolte così potrò riconoscerti, anche se non siamo in una bibliotecagigantesca».

Christian,che non aveva mai visto il film de Ilnomedella Rosané tanto meno ne aveva letto il libro, si alzò di malavoglia e simostrò all'ultima luce del tramonto.

«Iniziamoun'altra partita» disse stellamaris.«Se vuoi venire sei il benvenuto. Ma vedo che preferisci meditare,anche a me piace quel posto che puzza da morire. Scusa il disturbo,ma in questo palazzo bisogna essere assolutamente certi di tutto, cisono troppi misteri. Allora, che fai?»

Se scegli di nuovo la pace,vai a pagina 2; se scegli "pallone" con questa rompicoglionieccentrica, vai a pagina 3.

Christian ripeté fra sé"pallone": quella parola suscitò in lui uno stimolo piacevole,il fulmineo ricordo di quanto fosse stato bene subito dopo aver datosfogo ai suoi nervi, quel pomeriggio. Andò a pagina 3.

Nel campola penombra gli permise a malapena di accorgersi che il numero deigiovani era lievitato. La tipa stramba glieli presentò tutti, ma inun attimo aveva già dimenticato l'associazione tra nomi e persone.Li sentiva pronunciare quei nomi insoliti, tra calci e rincorse alpallone, tra risa e urla di trionfo o di delusione, tra i versistrani di quell'animale, le sue cantilene, le sue frasi insensate ele parole pronunciate a vanvera. Nomi vuoti, senza significato;esisteva soltanto lui con le sue prodezze, in quella penombra chediventava sempre più cupa e rendeva ambiguo tutto ciò che locircondava.

Poco dopo si ritrovò in ungarage illuminato da una lampada al neon, tra i rumori metallici diuna cassetta per gli attrezzi e discussioni strampalate. Lui restavasulla soglia, la sigaretta accesa e lo sguardo schivo. Parlava poco,solo se interpellato. I suoi occhi si posarono sui rami neri chesbucavano da dietro il tetto dei garage di fronte, stagliandosicontro il blu cobalto del cielo.

Duesettimane alle scuole. "Troverò qualcuno di interessante, riusciròa rifarmi una compagnia? Devo richiamarlo, quello scemo di Michael?Gli altri no, solo a pensarci mi viene il vomito. E anche Michael,raccontarmi palle per andarsene con un'altra compagnia, assiemealla mia ragazza... Certo, quelli erano più grandi, avevano lamacchina, visitavano i locali più in,i pub più famosi, affollati, spaccosi...E io sono qui in un garage con gente sfigata a rompermi le palle! Malui, che era mio amico, forse il migliore, perché raccontarmi tantestronzate e tradirmi in quel modo, per giunta assieme alla miaragazza? E che stronza anche lei!"

«Christian, tu che nedici?»

«Eh?»

«Vedo che sei già nelmondo dei sogni» disse la strana tipa con voce maliziosa. «Ticonviene andare a nanna, sono le undici e un quarto».

Il ragazzo scrutòl'orologio.

«Già, forse è meglioandare. Mia madre mi starà aspettando».

Quando fu sulle scale gliattraversò la mente l'ozioso tentativo di rammentarsi i discorsiin quel garage. Invasioni? Extraterrestri? Apocalisse? Ma subito iltorrente dei soliti pensieri travolse quel fulmineo ricordo.

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