Presenze nella notte

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Le lancette luminose della sveglia segnavano le due e dieci minuti. Ormai si poteva dire completamente sveglio. Ma dov'era? Il buio si tagliava con il coltello, ma immaginò di essere nella camera dei suoi genitori, che dormivano poco più in là. Nell'oscurità si udiva soltanto il ticchettio dell'orologio e uno strano lamento, da neonato, proveniente da qualche parte all'esterno della casa. Pensò che qualcuno avesse dimenticato quel bambino fuori dalla porta: piangendo tutta la notte aveva esaurito le lacrime, e ora riusciva solo a emettere strani gemiti.

Christian si rigirò nel suo giaciglio, in cerca di pace, e in quel momento capì che si trovava su un divano. Dormiva in salotto, il suo letto non era ancora pronto. Aveva deciso lui così, non sapeva nemmeno perché. "Tu dormi nel letto, io sul divano!" Ed era stata l'unica cosa che lui e sua madre si erano detti in tutta la serata, a parte l'augurio di buona notte da parte della madre, rimasto senza replica. Quando era rientrato l'aveva trovata immersa nella lettura di un libro che doveva essere parecchio interessante, in mezzo a una nube di fumo azzurrino. Ma Christian odiava i libri. L'unico che aveva letto fino alla fine era sul sesso, e pieno di immagini. E comunque preferiva di gran lunga le foto prese dal web.

Quei flashback però apparivano strani e irreali alle due di notte, facevano parte di un'altra dimensione, forse era meglio lasciarsi andare a pensieri più rilassanti... Ma ecco di nuovo quel lamento, e finalmente Christian capì: non era un bambino.

Era un gatto.

Cosa aveva da miagolare a quell'ora? Christian si turò le orecchie con le lenzuola, sospirando; per fortuna quel rompiscatole sembrava avere l'intenzione di andarsene fuori dalle palle!

Ad un certo punto sentì un rumore. Veniva da dietro una parete, in un tratto che non era in comune con nessun'altra stanza della casa. Era un suono leggerissimo, quasi un fruscio, come se qualcosa sbattesse contro il muro in vari punti. In un primo momento lo ignorò. Doveva averlo già sentito prima, forse nel dormiveglia. Poteva essere semplicemente una falena rimasta bloccata in casa. Ma poi si rese conto della continuità, della stranezza di quel fruscio che si ripresentava ora lontano, ora vicino, ora a destra, ora a sinistra. Mezz'ora dopo si aggiunsero altri strani rumori alla base del muro, come se qualcosa si stesse sbriciolando...

"Che palle, non si può mai stare in pace!"

Accese l'abat-jour sistemata sul tavolino e la luce lo accecò. A occhi semichiusi si avvicinò al muro, ma rimase esterrefatto. Non c'era assolutamente nulla. Eppure i rumori continuavano.

Si lasciò cadere sul divano, molleggiando. Il suo sguardo cadde su un luccichio proveniente da uno scaffale davanti a lui: la torcia elettrica. La prese e, in punta di piedi, si diresse verso il balcone. Aprì la portafinestra, ma la maniglia di ferro cigolò e la porta produsse un rumore infernale. Rimase ritto sulla soglia, in ascolto: dalla camera di sua madre non venne alcun suono. Allora uscì, immergendosi nella notte di fine estate. Il cielo era violaceo, si udiva solo qualche auto e ululato in lontananza, ma in quella zona tutto era freddo e silenzioso. Raggiunse l'estremità del balcone a passi felpati e ispezionò il muro con il fascio di luce della torcia.

C'era una rientranza subito dopo il suo balcone; nessun locale in cui qualche vicino si fosse deciso, alle due di notte, di scrostare l'intonaco.

Non capiva se stesse sognando o meno, nella sua testa ronzavano rumori e turbinavano immagini indistinguibili... A un certo punto si vide nel buio, a ispezionare con una torcia un dannato muro, e si sentì un idiota.

Tornò indietro, ma compiuti tre passi si arrestò di nuovo.

Nel parcheggio davanti al palazzo, sotto la luce dei lampioni, qualcosa si muoveva.

Non era certo un tizio intenzionato a recuperare la propria macchina. Stava lì nello stesso punto e gesticolava in modo strano, con in mano un misterioso oggetto che pareva il manico di un ombrello, e che ogni tanto levava al cielo. Sembrava stesse discutendo animatamente con qualcuno... ma non c'era alcun interlocutore!

Christian rientrò di fretta in salotto e si infilò tra le lenzuola. I rumori iniziarono a scemare e un vortice di pensieri confusi lo avvolse, sprofondandolo in un sonno senza sogni.

Non fece in tempo ad aprireil garage che si udirono passi nel cortile. Riconobbe la voce.

«Oh, buonasera!»

Christian gettòistintivamente uno sguardo all'orologio: erano le dieci delmattino.

Nel cortile illuminatocomparve l'alta sagoma di una ragazza, i capelli raccolti in duecodini lunghissimi che brillavano di riflessi ramati alla lucemattutina. Portava una lunga maglia verde fatta a mano e aveva unbambino di circa due anni in braccio, che fissava Christianintontito.

«Jessica, ti presentoChristian! Christian, ti presento Jessica, figlia di mia zia"scappo-di-casa-col-primo-coglione-e-ritorno-con-la-coda-fra-le-zampe-e-un-figlio."Che naturalmente ha appioppato a noi».

Christian afferrò il casco,ma questo gli sfuggì dalle mani, rotolando rovinosamente a terra. Labambina scoppiò a ridere.

«Haivisto? La fai ridere! In pochi ci riescono». "Oh, Cristo santo.Non stamattina, stronza di una matta!" «Dormito bene, stanotte?»chiese Stella Maris, cambiando tono.

«No».

«Sentito qualche rumorestrano?»

Christian drizzò leorecchie.

«Sì!Che cos'era?»

«Mah... non saprei...»rispose l'altra, con fare misterioso. E tacque. Christian decise dinon indagare oltre e spinse lo scooter sgangherato fuori dallarimessa. Sua madre era già partita, l'avrebbe raggiunta in unsecondo. Prima di accendere il motore fece in tempo a udire StellaMaris che litigava con la bambina.

«No, non sono code dicavallo. Piantala. Piantala, ho detto e... Ahia, stupido barattolo,molla subito i capelli! Mollali! Molla subito...»

Un rombo terrificanteesplose nel cortile, sembrava un elicottero mezzo scassato inpartenza. Il ragazzo montò in sella e saettò via, in predaall'ebbrezza della velocità. Mentre raggiungeva la strada,attraverso lo specchietto retrovisore intravide Stella Maris correreverso di lui: la vide fermarsi in mezzo al cortile e, con la bambinasempre in braccio, fissarlo finché non si fu allontanato.

 "Ecco, mi perseguita ancheattraverso gli specchi."



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