Messaggi nascosti

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Quella dannata streghetta lofissava in modo inquietante, dall'alto della mensola proprio difronte al suo letto. Gli occhi, che luccicavano nel buio, erano fintroppo arzilli e molesti, quasi maligni, come se il pupazzo fosse inprocinto di lanciargli una fattura. Irritato Christian si rigirò nelletto, coprendosi fino ai capelli. Fu allora che udì le voci dellesue vicine, nel campo dietro al palazzo. Riemerse dalle coperte,tendendo l'orecchio verso la finestra. Lame di luce filtravanoattraverso le sbarre delle imposte chiuse, e una di queste illuminavala faccia della streghetta che assunse un'espressione ancora piùperfida.

La nottata non era statatranquilla. Dopo molto tempo, il muro aveva ripreso a sfrigolare.Stavolta i rumori erano più ovattati rispetto alla prima notte,forse perché Christian non dormiva più in salotto. Ma eranougualmente fastidiosi: era diventato sensibile al minimo fruscio. Isoliti miagolii insistenti non si erano fatti sentire, però ad uncerto punto gli era sembrato di percepire, da lontano, la voce delvecchio nottambulo...

"Un'altra giornatauggiosa", si disse scostando le coperte. Senza amici, senzaragazze, con la penosa attesa degli sguardi persecutori dei compagni.Ma come poteva uno come lui essere finito in tale situazione?

«Le tue amiche sono già incortile a quest'ora!» osservò la madre, scrutando dalla finestra.

«Chi sene frega! E poi non sono mieamiche».

«Oh, mi scusi, signorino.Però mi farebbe la cortesia di portare giù la spazzatura?»

«Certo che la vita èproprio strana» sentenziò Stella Maris, accovacciata accanto a unacassetta di legno contenente un gatto avvolto in stracci. «Quandoera sano non potevamo avvicinarlo; ora che siamo qui con lui, stamorendo».

«Magari non sta morendo»si affrettò a rettificare Monica, «magari è solo malato. Una belladormita al caldo e si riprenderà come niente. E avrà capito che noigli vogliamo bene».

Sorrideva, ma il sorriso sispense incontrando lo sguardo della compagna. Non si arrese.

«E poi forse non respirabene: è ora di levargli questo collare».

Con ostinazione si adoperòper sganciare la fibbia incrostata e arrugginita, che pareva ormai untutt'uno con il cinturino. L'addome del gatto si alzava eabbassava ritmicamente, le narici agognavano aria, gli occhisemichiusi osservavano con poco interesse l'indaffararsi delle dueumane attorno al suo collare. Un gatto fulvo si avvicinò a passicauti e felpati, quasi temendo di disturbarle. Esitò dondolando lapunta della coda, incuriosito, poi raggiunse la cassetta e annusòdentro.

«Farestimeglio a darci una mano, Whisky» disse Stella, ma il gatto sollevòentrambe le zampe anteriori e fece dietro front.

«Maledetto collare»commentò Stella. «Ora lo sistemo io».

E corse arecuperare un paio di forbici. Lo recise con un colpo ben assestato,lo sfilò e lo sollevò trionfante. I peli del collo erano tuttischiacciati e impastati. Monica li accarezzò con un dito neltentativo di sistemarli, poi colse con la coda dell'occhio ilcollare ancora sospeso a mezz'aria. Stella lo stava esaminando congli occhi socchiusi e concentrati.

«Che c'è?»

«Non lo so... c'èqualcosa cucito sulla parte interna».

Glielo mostrò. Sulla foderagrigiastra, che un tempo doveva essere bianca, si distinguevachiaramente la presenza di una trama ricamata, anche seindecifrabile.

«Sarà il nome del gatto».

«Così lungo? E poiall'interno?»

Ci fu una pausa. Poi Stellasi alzò.

Le Fronde del SaliceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora