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Quando scendemmo nel parcheggio, Kyle si diresse a passo deciso verso un pick up nero parcheggiato poco più avanti. Era bello, lucido e pulito, ma aveva diverse ammaccature e della terra sulle ruote. Per certi versi mi ricordava una jeep da lavoro nei campi, come quella che aveva mio nonno. Nonna Philippa mi raccontava sempre di quanto fossero felici da giovani nella loro tenuta di campagna. Poi era nato Robert e poco dopo la zia Rachel e avevano pensato che fosse meglio trasferirsi in città, per i loro studi. Avevano fatto enormi sacrifici per amore dei loro figli, compreso quello di vendere la tenuta.

"É tuo?" gli domandai. É vero, si dirigeva in quella direzione, ma era anche probabile che la sua fosse una di quelle automobili parcheggiate dietro il pick up.

"Certo, ti sorprende?" ridacchiò. Odiavo quell'atteggiamento da saputello. Avevo solo fatto una domanda.

"No, é solo che anche io ho un pick up. È quello blu, là in fondo" lo indicai.

Spalancò gli occhi e mi guardò come se fossi uno strano esemplare raro. "Sul serio? Tu hai un pick up?" chiese, ma il suo tono era più quello sorpreso di chi stava verificando di aver sentito bene.

"Certo, ti sorprende?".

Non parlò più. Lo ripagai con la sua stessa moneta, uno a zero per me. Mi sentivo un tantino sotto pressione all'idea di viaggiare nella sua stessa auto, ma adesso che avevo fatto vedere di possedere un veicolo tosto come il suo.. ero più grintosa.

Salimmo a bordo e mise in moto, imboccando la tangenziale che andava verso San Francisco. Speravo solo che il ristorante non fosse molto lontano, ma allo stesso tempo desideravo ammirarlo mentre guidava. Accidenti, un uomo può toccare i livelli più alti della sensualità anche solo manovrando un volante? A quanto pare sí. I muscoli dei bicipiti guizzavano ogni qualvolta facesse una curva o cambiasse una marcia. Era un bello spettacolo e fui felice che si fosse tolto la camicia scozzese.

"Allora, Phoebe, raccontami qualcosa di te" spezzò quel silenzio che stava diventando piuttosto carico di tensione.

Cosa avrei dovuto dire? Quando avevo dieci anni ho ucciso mia sorella, anche se volevo solo cambiare posto in macchina. Sono viva per miracolo. I miei genitori non mi parlano da anni, per loro non esisto. Da quando mia nonna se n'è andata, sono sola al mondo.

No, era decisamente una risposta da escludere. "Non c'è niente da dire" era sicuramente la via più semplice, così risposi in questo modo.

"E dai, scricciolo. Dall'accento non si direbbe che tu sia di qui, da dove vieni?".

"Alabama".

"Alabama? Oh.. figo. E cosa ci fai a Stockton?".

"Studio. Inizio il college la prossima settimana, come tutti" risposi, con voce scocciata. Speravo che si accorgesse del fatto che non fosse esattamente il mio argomento di dialogo preferito, ma lui continuò.

"A che anno sei?".

"Secondo".

"Davvero? Anche io!".

"Quindi hai diciannove anni anche tu" constatai.

"Veramente ne ho venti, mi sono preso.." si fermò un istante "un anno sabbatico prima del college".

"Okay". Dunque aveva un anno più di me. Chissà come mai, gliene avevo dati almeno ventidue. Probabilmente a causa della barba scura che gli spuntava sulle guance. Non era lunga, appena accennata. Permetteva di vedere ugualmente le fossette che gli spuntavano ad ogni sorriso.

Parcheggiò davanti ad un locale italiano e, un quarto d'ora dopo, tornammo in macchina carichi di teglie profumate. Non avevo mai mangiato una vera pizza italiana, ma dall'odore era evidente che fosse meglio delle imitazioni surgelate americane.

InconsapevolmenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora