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"No, fermo, aspetta. Non mi dire che sei convinto che la morte di Faith ed Helena dipenda da te!" esclamai.

Lui annuì, rassegnato. "É così" confermò.

"Ti sbagli" sbottai nuovamente.

"Non sai la storia" insistette.

Sorrisi. "Oh, sí che la so. Credo di aver capito tutto. Faith si é proposta di venire a trovarti, non volendo rinunciare alla vostra serata. Per tirarti su il morale, é passata a prendere la vostra torta preferita. Ed é in quel momento che é stata investita. Dimmi che mi sbaglio, se hai ancora il coraggio di negare".

L'espressione che potei vedere sul suo viso in quell'istante mi fece gelare il sangue nelle vene. Il suo sguardo era spaventato, anzi, terrorizzato. Il panico sembrava essersi impossessato di lui. Udire quella storia ad alta voce doveva essere stata una bella doccia fredda, per uno che tendeva a tenersi tutto dentro. Ben nascosto da uno scudo spesso e resistente. Apparentemente.

"Che c'è, non parli più ora?" insistetti.

"No, no.. é che.. okay, lo ammetto, hai ragione. È andata proprio così. Sono stato un egoista, un dannato egoista. Solo perché ero di cattivo umore, ho trascurato le persone che contavano di più, per me. Lei non sarebbe dovuta uscire quella sera! Se io non avessi fatto cazzate, Phoebe, sarebbe viva. Se non mi fossi concentrato solo su me stesso, ma avessi guardato anche alla situazione degli altri.. sarebbe viva. Quale uomo farebbe uscire di casa la propria fidanzata incinta solo per soddisfare un suo capriccio? Nessuno, te lo dico io. Soltanto uno squilibrato mentale come me. Ho fatto la cazzata più grande della mia vita. Ho lasciato che mi portassero via ciò che ritenevo il mio tesoro più grande. Io non ho più niente. E me lo merito, perché me la sono cercata. Perché é tutta colpa mia".

L'animo mi si riempì di tristezza e di rabbia allo stesso tempo. Non sapevo neanche come fosse possibile provare entrambe le emozioni contemporaneamente.

"Non è vero, che non hai nulla" mi rivolsi a lui con tutta la dolcezza che avevo in cuore "Tu hai una splendida famiglia, degli amici. E hai me. Non é vero che non hai niente. E soprattutto, non hai nessuna colpa. Neanche una".

Scosse la testa, ridacchiando. Con una risata che non aveva nulla di divertente. Era un tono amaro, rassegnato. Vuoto. "Invece sí, che é colpa mia. Mia e del mio capriccio".

Non ci vidi più. Scoppiai, alzando decisamente troppo il tono della voce. Probabilmente mi sentirono gridare anche dalle camere adiacenti. In quel momento, però, non mi interessava cosa gli altri potessero pensare di me. Avevo una brutta situazione da risolvere e non riuscivo più a trattenermi.

"Sei un codardo! Mi hai ripetuto centinaia di volte che non avevo colpa con la morte di mia sorella. Hai tentato in ogni modo di farmi capire che il mio capriccio non era legato all'incidente. Che io non potevo sapere che un pazzo sarebbe passato sulla nostra strada, quel giorno. E poi, che fai? Ritiri tutto quando si parla di te? Non funziona così!".

"Non è la stessa cosa.." tentò di difendersi lui, con un filo di voce. Notai, però, un lieve tentennamento. Forse si stava rendendo conto di quanto le nostre situazioni fossero simili. Più simili di quanto si ostinava a credere.

"Sí, invece, che lo é. Io ho fatto un capriccio che mi ha salvato la vita, uccidendo però mia sorella. Tu mi hai fatto capire, impegnandoti con tutto te stesso, che non potevo prevedere quello che sarebbe successo. Che non ho colpa, che semplicemente é stato un caso. Tu ti incolpi della morte di Faith perché é stata lei a venire da te, anziché viceversa. Ma tu, proprio come me, non potevi immaginare che sarebbe stata investita. Non c'era modo di scoprirlo prima. È la vita. Tante volte fa male, ma spesso - quando meno te lo aspetti - succede qualcosa che ti fa vedere di nuovo la bellezza. E me lo hai insegnato tu. Le parole che mi hai detto in questi mesi, valgono anche per te".

Calò il silenzio. Sperai che stesse riflettendo su quanto gli avevo appena detto. O meglio, speravo che avrebbe capito la situazione. Tutto ciò che desideravo era che la smettesse di sentirsi in colpa e di vivere ogni secondo con il rimpianto. Con l'idea di aver ucciso qualcuno. Qualcuno di importante. Forse solo io, che avevo provato gli stessi sentimenti, potevo capire quanto fosse doloroso quel senso di colpa. Ma era giunto il momento, per entrambi, di lasciare quel fardello. Di voltare pagina.

Eppure, la sua risposta non fu quella desiderata.

"É diverso. C'è sempre qualcosa di diverso, tra la mia storia e la tua" affermò serio.

Aggrottai le sopracciglia. "Cosa? Avanti, dimmelo. Perché io sono davvero certa che sia la stessa situazione".

Lui tirò un pugno al materasso, creando un solco appena accennato tra le lenzuola. Poi ne tirò un altro, un altro ancora. E continuò, sfogandosi, mentre mi rispondeva. "Perché tu avevi dieci anni. Eri una bambina, Phoebe. Okay? Una bambina. Io ne avevo 16 e mezzo e stavo per diventare padre. Padre, capisci? Una figura che implica responsabilità e maturità. E invece, non sono stato in grado di fare nulla per mia figlia. Non é la stessa cosa, perché il mio capriccio non era quello di un bambino inconsapevole, ma di un ragazzo egoista!" urlò, con gli occhi iniettati di sangue.

Appena finì di sputare fuori tutto ciò che gli passava per la mente, sembrò calmarsi. Si sdraió, incrociando le braccia dietro la testa. Chiuse gli occhi. Sembrava così indifeso. Debole. Rassegnato all'idea di sentirsi in colpa per il resto della vita.

Mi accoccolai al suo fianco, poggiando la testa sul suo petto. Mi presi qualche istante di silenzio, calma e tranquillità. L'unico rumore era quello del battito del suo cuore, sotto il mio orecchio.

"Non sei cattivo, Kyle. Sei stato sfortunato una volta, ma questo non significa che lo sarai per sempre. Mi auguro che succeda qualcosa, nella tua vita, che ti renda consapevole di quanto sia bello stare al mondo. Non avrei mai detto queste parole, mesi fa. Da quando mi sono trasferita e, soprattutto, da quando ho incontrato te... io sono cambiata. Mi stai dando un motivo per andare avanti. Hai fatto così tanto, per me. Vorrei che tu facessi qualcosa anche per te stesso. Perdonati, Kyle. E datti la possibilità di essere di nuovo felice".

Mi ritrovai con le lacrime agli occhi. Avevo messo a nudo il mio cuore. Glielo avevo donato. Era suo. E poteva farci quello che voleva. Stava a lui, scegliere. Capire cosa significava per lui. Era tutto nelle sue mani.

"Non mi merito di essere felice di nuovo. Ma, soprattutto, non posso esserlo. Non posso legarmi a nessuno. Non voglio relazioni. Nemmeno con te. Sai com'è andata a finire l'ultima volta che mi sono innamorato. Ho finito con l'ucciderla. Non posso permettere che capiti anche a te".

Udite queste parole, scoppiai a piangere. Piansi, piansi fino a scoppiare. E lui con me. Lacrime che si mescolavano, abbracci stretti per non lasciarsi andare via. Bisbigli, parole sussurrate.

Ed una frase che mi fece rendere conto - una volta per tutte - di quanto ormai fossi legata a quel ragazzo. Di quanto fosse forte il sentimento che mi teneva legata a lui. Di quanto desiderassi stargli accanto, fosse anche per tutta la vita. Di quanto volessi renderlo felice. Vederlo felice.

"Tu mi piaci, Phoebe. Da morire. Mi piace ogni cosa di te. Sei intelligente, carismatica, sensibile. Sai ascoltare e sai consigliare come nessun altro al mondo. Sai capire quando ho voglia di parlare e quando ho bisogno soltanto di qualcuno che mi stia accanto. Sai leggere la mia anima meglio di quanto sappia fare io. Mi piaci appena sveglia, con i capelli scompigliati. Mi piace guardarti quando dormi. E poi, dannazione, amo i tuoi occhi. Non pensavo di poter essere così ossessionato da due occhi marroni. Mi piaci così tanto che ho paura dei miei stessi sentimenti. Ed é proprio perché mi piaci che ti dico di starmi lontano. Perché non sarei in grado di prendermi cura di te come meriti. Perché non so tenermi strette le persone a cui voglio bene. Perché faccio solo dei danni irreparabili. Semplicemente, perché voglio che tu sia al sicuro. E l'unico modo perché tu lo sia, scricciolo, é lasciarmi andare. Se mi vuoi bene, anche solo un po', stammi lontana. Farà male, anche a me. Ma mi consolerá sapere che starai bene. E vicino a me, non ci sarà mai niente di buono. Perché io non ho niente di buono".

InconsapevolmenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora