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Rilessi quattro o cinque volte quel breve testo. Totalmente incredula, con le mani che tremavano per la notizia.

Presa da un impeto di rabbia, cliccai sulla X per chiudere la pagina e per poco non lanciai via il computer.

Mi imposi di respirare profondamente, consapevole che - se non l'avessi fatto - mi sarei lasciata ad andare ad un pianto isterico o ad un attacco di panico. E non mi sembrava proprio il caso.

Le sorelle Hamilton non erano in casa. Ringraziai il cielo, perché non mi sarei potuta far vedere in quelle condizioni. Camminavo avanti e indietro nel salotto, passandomi le mani nei capelli per la disperazione.

Ma la mia mente sembrava vuota. Non mi veniva in mente nulla che potesse salvarmi da quella situazione. Nulla che potesse migliorare il mio umore, evitare quello che sarebbe - inevitabilmente - successo.

Proprio ora che le cose andavano finalmente bene. Che stavo andando avanti, che avevo imparato ad aprirmi con le persone. Che avevo degli amici, che mi trovavo bene al college. Proprio ora, che il passato sembrava essere solo un brutto ricordo.. ecco che i miei peggiori incubi tornavano a fare capolino nella mia mente.

Dopo minuti di panico, ripresi in mano il PC e rilessi di nuovo quella email. No, nessun errore. Non era cambiato nulla. Il messaggio era ancora lì, nero su bianco, sul mio schermo. Nessuna parola, nessun segno di punteggiatura erano diversi.

"Merda" mi lasciai sfuggire un'imprecazione "merda!".

Strinsi i pugni, così tanto che le dita iniziarono a farmi male.

Eppure, doveva esserci un modo per evitare tutto quello. Non era possibile che i progressi che avevo fatto in quei mesi venissero annullati da una banalissima email. Non potevo permettere che la mia nuova vita venisse buttata all'aria.

Non era giusto.

Non mi meritavo tutto ciò. Non meritavo di soffrire ancora, quando l'avevo già fatto per praticamente 19 anni.

Avrei dovuto elaborare una soluzione. Trovare un modo per sistemare tutto, senza sentirmi in colpa ma senza soffrire di nuovo. Senza stare male, ma senza avere rimpianti. Era impossibile? Probabilmente.

Nel frattempo, però, cercavo solo un modo per distrarmi. Improvvisamente mi ricordai che Logan teneva in camera un sacco da boxe. Ne aveva parlato durante la vacanza di capodanno. Diceva che, nei momenti di stress, lo aiutava a rilassarsi. Chissà, magari avrebbe avuto lo stesso effetto anche su di me.

Ormai rassegnata, non mi restò che tentare quella soluzione. Corsi giù per le scale. Quando arrivai sul pianerottolo del piano inferiore, notai il ragazzo che scendeva la rampa successiva.

"Logan!" esclamai, prima che si allontanasse troppo.

"Ciao, Phoebe. Hai bisogno di qualcosa?" mi domandò, scrutandomi attentamente. Di certo non ero molto presentabile, con i vestiti che mettevo in casa. Ma, in fondo, non dovevo uscire. Erano sicuramente più comodi di un paio di jeans.

"Emh, sí. Stai uscendo?".

Lui annuii. "Ho un esame, sono anche piuttosto in ritardo. Ti servo proprio io?".

"In realtà volevo tirare qualche pugno al tuo sacco da boxe. Posso?" chiesi, sperando in una risposta affermativa.

Logan mi lanciò il suo paio di chiavi. "Sai qual é la mia stanza" mi urlò, scomparendo fuori dal portone del condominio.

Mi rigirai il portachiavi tra le mani. In fondo, non avrei fatto del male a nessuno ad entrare in casa mentre lui non c'era. Mi presi coraggio, ormai determinata a portare a termine il mio tentativo di sfogo, ed entrai.

InconsapevolmenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora