Parte 51

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È da più o meno cinque minuti che sto aspettando l'arrivo di qualcuno, seduta, da sola, le gambe mi tremano. Lauren non è potuta entrare con me, ma sta osservando tutto dall'altra parte dello specchio. Almeno so che per qualsiasi cosa lei verrà da me. Perché lei verrà. Mi riscuoto dai pensieri quando una porta si apre e fa capolinea all'interno della stanza un uomo, sulla quarantina credo, di media statura e occhi marroni. Ha pochi capelli e la carnagione leggermente scura. Si siede difronte a me e appoggia delle carte sul tavolo. Si schiarisce la voce e poi mi guarda.
<Lei è Camila Cabello?> annuisco debolmente. Sono ancora abbastanza traumatizzata.
<Mi hanno avvertito dall'ospedale che sua madre è stabile e più tardi potrà vederla. Io sono l'agente Collins.> mi riprende con un tono più o meno rassicurante. Faccio un cenno con la testa, mi sento più sollevata. 
<Sa' perché è qui?>
-S-sì... potrebbe darmi del tu? Mi sentirei meno a disagio.. per favore- sorride lievemente.
<Certo, scusami. Dovrai solo dirmi cosa è successo okay? Niente di più> prende carta e penna.
-Okay...-
<Raccontami tutto quello che è successo da questa mattina> ha assunto un'espressione abbastanza seria, le sopracciglia un  po' corrugate, come se si dovesse concentrare.
-Ecco.. io e mia madre stavamo impacchettando le mie cose perché mi sto trasferendo. I miei genitori hanno divorziato da poco e lui, Alejandro, si trasferisce a Dallas con la sua nuova compagna, nella nostra città natale. La casa dove abitavamo qui è sua, o per lo meno era, l'ha venduta e io e mia madre abbiamo trovato altri posti dove vivere. Appena abbiamo finito, l'ho avvertita del mio andare a portare nella casa dove vivo ora gli oggetti rimasti e che sarei tornata subito. Lei si è proposta di fare un tè per entrambe nell'attesa e me ne sono andata. Al mio ritorno però..- mi fermo un attimo, le immagini ancora nitide nella mia mente.
<Vai avanti> mi incita lui.
-Quando sono tornata, c'era una macchina appostata all'entrata della villetta e la porta dell'edificio aperta. Sono entrata piano, avevo paura che chiunque fosse entrato mi trovasse o sentisse. È lì che ho iniziato a sentire dei rumori e degli urli soffocati. Ho preso la mazza della scopa per difendermi e ho salito piano le scale, ero spaventata. Una volta raggiunto il piano superiore, i rumori e gli urli si sono fatti più forti e ho notato che provenivano dalla stanza da letto usata dai miei. Mi sono affacciata e...- sento le lacrime scendere di nuovo, il groppo in gola non mi lascia parlare. È in quel momento che sento una porta aprirsi e dei passi veloci avvicinarsi.
<Mi scusi, ma lei non puo' stare->
"Posso" dice lei. La sua voce la riconoscerei tra mille. Mi sento più leggera, più al sicuro.
"Ho chiesto al suo collega ed ha acconsentito" prende una sedia tenuta in un angolo e la posiziona al mio fianco. 
<Ah, allora va bene> fa una smorfia.
"È tutto okay, capito? Non sei da sola. Continua, puoi farlo" mi asciuga le lacrime con i pollici e mi accarezza il viso.
<Potrei sapere però chi è lei?> mi viene da ridere immaginando la faccia che farà.
"Le direi di no, ma è un poliziotto e quindi mi tocca" risponde fredda.
"Sono la sua ragazza e si come funziona qui, quindi stia tranquillo non interverrò" forza un sorriso, ma ciò che ne esce è solo una smorfia. Sorrido.
<Ah.. ehm.. va bene, comunque, continuiamo> annuisco un po' più decisa, sul viso dell'uomo c'è un'espressione indecifrabile.
-Lui... lui era su mia madre, la picchiava, la costringeva a... lei urlava, tanto, piangeva. Non riusciva a liberarsi a ribellarsi. Mi sono nascosta per chiamare la polizia e nell'attesa volevo salvarla, io.. volevo proteggerla. Ma non ce l'ho fatta. Una volta che mi sono esposta con il volto nella camera, lei era sul letto, sfinita, gli occhi rossi dal pianto. Lui era soddisfatto e la offendeva, si sentiva lontano un miglio, però, che fosse ubriaco. Avrei voluto fare qualcosa, ma non riuscivo a muovermi.. ero... così.. così impaurita e arrabbiata che non capivo cosa volessi fare davvero. Quando Alejandro mi ha visto, ha provato a farmi la stessa cosa, ma sono riuscita a colpirlo con la schiena e a chiudermi dentro la camera. Sono corsa da mia madre e ho cercato di tenerla sveglia, ma.. m-ma lei er-a così stan-ca- sto singhiozzando di nuovo, mi sento male, il petto è come se volesse esplodere. Lauren mi mette una mano su una coscia e l'accarezza dolce, come per farmi coraggio. La guardo, mi sta fissando. Mi fa un cenno col capo per incitarmi a proseguire.
-Lui batteva i pugni sulla porta prepotentemente, urlava, credevo che potesse sfondarla. Poi siete arrivati voi e il resto lo sa..- finalmente ho finito e Lauren mi abbraccia a sé, confortandomi. Il sign. Collis finisce di scrivere e poi ci guarda.
<Perché prima hai detto che tu e tua madre avete trovato delle abitazioni e non una casa?> mi stacco da lei, ormai ho smesso di piangere, il peggio è passato, sospiro.
-Lei andrà a vivere con la sorella di mio padre che abita qui ed io abito da un po' con la mia ragazza, quindi ho traslocato definitivamente da lei- quasi sorrido ripensando a quando me l'ha proposto.
<Uhm, capisco, va bene. Volete esporre denuncia?> domanda. Mi blocco non sapendo cosa dire. Anche se ormai non è più così, in fondo gli ho voluto bene ed era ubriaco. Lo guardo smarrita.
<Ti do tempo per pensarci e parlarne con tua madre... beh abbiamo finito. Scusa se ti abbiamo trattenuta, ora puoi andare> si alza velocemente ed esce dalla porta. Prendo un profondo respiro.
"Sei stata bravissima, davvero. Ora andiamo da tua madre, ti va? Gli altri ti stanno aspettando davanti all'ospedale, sono tutti preoccupati" il suo tono preoccupato è dolce, mischiato ad un po' di tristezza.
-G-gli altri? Davvero?- non posso crederci.
"Davvero, ora alzati dai, prima arriviamo e prima potrai vederla" mi prende per mano. La seguo fino fuori e poi ricordo una cosa.
-Potremmo tornare un attimo a casa? Vorrei spostare la mia macchina dalla villa prima che sia troppo tardi e vengano i compratori- me ne ero completamente dimenticata.
"Va bene" ridacchia.
"Sei unica, davvero. Riesci a pensare a questo nonostante la situazione. E poi mi chiedono perché ti amo. Non ti lasci alle spalle nulla, nemmeno la più banale" rimango sorpresa da quelle parole. Saliamo in macchina e catturo le sue labbra tra le mie. Sanno di fragola, sono morbide. Le succhio la lingua e poi mi allontano da lei.
"Per che cos'era?" È arrossita con il fiatone, evidentemente sorpresa.
-Per quello che hai detto e hai fatto oggi. Poi mi mancava baciarti- rispondo guardando fuori. Sorride e mette in moto. Dopo aver sistemato la mia macchina nel parcheggio di fronte casa sua, siamo arrivate finalmente all'ospedale. Trovo Normani e Thomas per mano che parlano con Cayley, Jarvis e Jonathan, il migliore amico di quest'ultimo. Quando ci vedono, corrono subito verso di noi e ci avvolgono in un abbraccio di gruppo. Amo questi ragazzi.
<Tutto bene? Ti ha fatto del male? Dove eravate? Cosa è successo?> ci assalgono di domande.
"Ragazzi, vi prego, uno alla volta, non abbiamo così tante bocche per rispondere contemporaneamente" ridiamo tutti.
"Vi racconterò tutto più tardi okay? Ora andiamo" e ci avviamo. Una volta trovata la stanza e il corridoio, ci manca solo arrivare al terzo piano. Arriviamo all'ascensore, che però sta scendendo e decidiamo di andare a piedi. Dopo le interminabili scale, arriviamo alla camera.
"Forza e coraggio" mi dicono tutti, Lauren mi prende per mano. Sospiro e busso.
<Avanti> una voce debole ci da il permesso di entrare. Una volta chiusa la porta, ci avviciniamo e lei ci sorride dolcemente.
<Sei stata con lei fino ad ora, vero?> domanda, Lauren al mio fianco annuisce.
<Ti ho davvero giudicata male, lo ammetto. Non volevo vedere quanto fossi cambiata ma ora lo accetto. Proteggila sempre, per favore> sono sbalordita, l'espressione del viso della mia ragazza da la stessa impressione.
"È ciò che intendo fare. La ringrazio" è stranamente cordiale e seria.
"Vi lascio sole ora, vorrete parlare, sono qua' fuori con gli altri" e se na va, dopo avermi dato un bacio sulla fronte. Le sorrido e lei esce dalla stanza. Restiamo per un po' in silenzio, finché le domando come sta, anche se è scontata la risposta. Parliamo un po', un po' di tutto, fino a quando non mi ritorna in mente la domanda fatta dall'agente Collins.
-Devo chiederti una cosa..- indugio.
<Dimmi pure>
-Mi hanno chiesto se vogliamo esporre denuncia..- cerca di mettersi seduta, ma non riesce ad alzarsi ancora troppo debole. 
<Io.. non lo so, Camila.. in fondo è stato mio marito, abbiamo vissuto tanti anni insieme... ci devo pensare> non credo alle mie orecchie.
-Non capisco, in realtà.. come puoi doverci pensare? Hai visto cosa ti ha fatto? Cosa ci ha fatto? Non puoi non volerlo denunciare- rimango spazzata. Mi gira vorticosamente la testa. Mi alzo dalla sedia dei visitatori e mi allontano.
-Torno domani, fammi sapere cosa avrai deciso- esco. Mi salutano tutti per poi andarsene, dalle loro facce sembra che ora sappiamo tutto.
"Ehi piccola, qualcosa non va?" Domanda preoccupata.
-Sì, niente non va!- sbotto arrabbiata.
-La mia famiglia è distrutta, mia madre è stata picchiata e violentata, siamo state cacciate dalla nostra vecchia casa e per di più, lei non vuole denunciarlo. Ma ti pare?- sto urlando in mezzo al corridoio, l'unica presente oltre noi è un'infermiera che gira per le camere.
"Calmati, respira. Come non vuole?" Rimane sorpresa. Il petto mi fa male, il cuore batte troppo veloce.
-Non vuole, non lo sa, è indecisa. Ma come puo' esserlo? Dopo tutto questo?- mi manca il respiro. Inizio a vedere tutto sfocato.
"Camila? Ehi? Aiuto! Qualcuno mi aiuti!" Le mie gambe cedono, ma non cado al suolo. Gli occhi si fanno pesanti, si chiudono, silenzio totale, buio pesto.

Possessive || Camren Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora