Capitolo 21

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Victoria.

Bip, bip, bip. Dei rumorini mi chiamano. Apro gli occhi e trovo Dylan accanto a me.

-ehi- mi sorride. Sorrido anche io. Quanto mi è mancato il suo sorriso. Vedo quell'accenno di fossette e sembra che tutto si sistemi.

-Dylan..- sussurro.

Le sue e le mie labbra si sfiorano e il mio cuore accelera.

-forse dovrebbero darti un calmante- dice e io schiaffeggio il suo braccio. Ma...un attimo...dove...dove mi trovo?

-dove sono?- non ricordo nulla, niente. Ricordo il buio, una voce e poi niente....io..

-sei in ospedale, hai avuto un attacco di panico quando la luce se n'è andata in tutto il quartiere- dice.

Ah, già, dovevo immaginarmelo. Un attacco di panico. Tipico di me stessa.

-mmh, che ore sono?- chiedo passandomi una mano sul volto.

-le sette del mattino- dice guardando lo schermo del telefono.

-quanto ho dormito?- come è possibile che..

-tutta la notte, il sonnifero era più pesante visto che il tuo attacco di panico è stato più grave.-

-bene, vado a migliorare- rido.

-una cosa del genere- lui sorride -tua madre non ha fatto altro che piangere, si sente in colpa- mi dice.

-non so cosa dirle- ammetto. Non posso di certo dirle che è colpa sua, ora che sembra tutto andare per il verso giusto. Tutto quello che ho vissuto è a causa sua e del suo capriccio.

-è qui fuori, la faccio entrare?- mi chiede.

-si, falla entrare- dico e mi alzo leggermente dal letto. Voglio tornare a casa. Lui esce e mia madre entra. Ha gli occhi rossi e il viso del medesimo colore. Gli occhi verdi tristi e stanchi e i capelli ricci raccolti in una coda spettinata. È bella, senza orma di dubbio ma..è distrutta.

-Victoria..- si fionda su di me e mi abbraccia- sono entrata quando ancora eri sveglia ma non eri in te, eri..smarrita..- la sua voce trema- tutto quello che è successo..è colpa mia, scusami, non me ne andrò mai più, non me ne andrò mai più, giuro. Ti starò sempre accanto. Riuscirò a farti dimenticare questi otto lunghi anni..- la sua voce si spezza- io..voglio che tu mi perdoni..io..- non la lascio finire di parlare.

-io..ti ho già perdonata- dico e lei mi stringe a se. L'ho perdonata in un certo senso. Non del tutto ma sono passati otto anni e non mi biasimo. Questo terrore, penso, che me lo porterò dietro per tutta la vita ma con il quale imparerò a conviverci. E magari, chissà, un giorno scomparirà. Forse.

****

-ovviamente tu, testa di rapa che non sei altra, in ospedale non potevi rimanere- dice mio padre quando mi sdraio sul letto.

-ovviamente no John- rido e mi copro con le coperte.

-ma quando avrai un po' di cura per la tua salute? - mi rimprovera.

- John, tranquillizzati. Sono ancora viva.- rido e lui dopo aver alzato gli occhi al cielo esce dalla stanza. Mia madre è di sotto con Dylan.

La porta si apre dieci minuti dopo. Dylan porta con se lo zaino in spalla.

-sono venuto a salutarti prima di andare a scuola. Faccio bella figura con tuo padre. Sono un ragazzo diligente e studioso- sorride e mi schiocca un bacio veloce.

-prendi la mia auto ma guai a te se me la graffi - dico dandogli le chiavi che lui afferra subito.

-va bene vostra altezza- sorride e mi bacia di nuovo. Lo fermo per un polso prima che se ne posa uscire. Lo tiro di nuovo vicino a me e faccio unire di nuovo le nostre labbra. Le nostre lingue si sfiorano appena e lui sorride sulla mia bocca.

Solo noi #wattys2020Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora