Capitolo 42

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UN ATTIMO DI ATTENZIONE: LEGGETE LO SPAZIO AUTRICE A FINE CAPITOLO ❤

Victoria.

Mi fa malissimo la testa. Il naso e le labbra mi bruciano. Non so dove sono...tutto intorno a me è scuro, davanti ai miei occhi è come se ci fosse una rete, una rete fittissima di colore marroncino. La luce è fioca e non capisco cosa stia succedendo. Chiudo gli occhi e aguzzo l'udito. Sono sdraiata su qualcosa di freddo e scomodo, è in movimento. Sobbalzo di colpo e la mia testa sbatte contro qualcosa. Il mio cuore accelera e sembra mancarmi l'aria. Chiudo gli occhi e sprofondo di nuovo nel buio.

****

Apro gli occhi.
Una luce forte inonda la stanza dai colori tenui e poco lucenti.
Un forte odore di lavanda inonda le mie narici e mi aiuta a svegliarmi del tutto. Mi sollevo e la testa inizia a pulsarmi. Ma dove sono?
Mi osservo meglio intorno e solo adesso capisco dove mi trovo, solo adesso mi rendo conto che sono in pericolo, solo adesso mi rendo conto che è tutta colpa mia e colpa Sua. Solo adesso mi accorgo che questo luogo non è altro che la mia vecchia casa, non è altro che la camera di mia madre dove, la prima volta, lessi quell'orribile lettera.
Il respiro si fa corto e i miei occhi si riempiono di lacrime.
Mi trovo sul letto e balzo in piedi rischiando di cadere a causa di un altro giramento di testa.
Che ci faccio qui?
Come ci sono arrivata?
Perché mi hanno portato proprio qui? Cosa c'entro in tutto questo casino? Cerco di avvicinarmi alla finestra, un passo, un altro passo...poi cado per terra con un tonfo fortissimo e con una gamba indolenzita.
Mi tira una caviglia e, quando mi volto per controllare, noto che sono legata al piede del letto: c'è una catena.
Sono in trappola, sono completamente immobilizzata e non ho nemmeno la possibilità di affacciarmi alla finestra. Non posso chiedere aiuto perché è tutto chiuso.

Tutto mi ritorna in mente, tutto quello che ho passato, tutto che mi è successo.

I messaggi, le minacce, il mio dovermi allontanare dalle persone che amo senza dar loro nessuna spiegazione, la fine dei giochi.
Il ragazzo che cerca di immobilizzarmi, gli altri quattro incappucciati e Dylan che cerca di liberarmi..

Dylan.
Cristo, Dylan!

Dov'è?

Ispeziono con gli occhi tutta la stanza ma lui non c'è, non è qui con me.
Sono sola, nel luogo che ha procurato in me più dolore di tutti. Mi sembra ti tornare indietro nel tempo. Di entrare in casa con il mio zainetto, di posarlo nella mia camera e di portare il disegno a mia madre...ma lei non c'è. Non c'era. Al suo posto c'era la lettera. Quella dannata lettera che io ancora oggi conservo.
Delle volte mi sento così stupida per averlo fatto.
Perché conservare un qualcosa che mi procura così tanto dolore. Cosa ci trovo di così tanto particolare nel dolore? Cosa trova il dolore di così tanto particolare in me?
Chiudo gli occhi e mi rannicchio per terra. Non voglio sdraiarmi su quel letto. L'ho fatto una sola volta. Quel dannato giorno. Quel dannato giorno in cui scoppiai a piangere per la prima volta. A nove anni.
Adesso non posso e non devo più. Porto le ginocchia al petto e chiudo gli occhi. Le lacrime scendono sole. Sono una debole, lo so. Non sto mantenendo una promessa.
Sto piangendo.
Sto soffrendo.
Sto buttando fuori tutto.
I singhiozzi salgono sempre di più. Il petto mi brucia e la testa mi pulsa ancora di più. Pensavo di essere forte, ma non lo sono.
Il dolore mi sta consumando.
Ora.

Penso a miriadi di cose: a mia madre, a quella stessa madre che mi ha abbandonato qui dentro, a mio padre che starà uscendo pazzo per cercarmi in ogni dove, ad Ashley su quel letto di ospedale, ai miei amici, a Leila, Lory, Dalila, Leo, Zac, Taylor, che ho trascurato così tanto in questi ultimi tempi, penso a Bea, al piccolo angelo che non si è ancora svegliato.., a Cloe, alla piccola e dolce Cloe...a Dylan, al Mio Dylan... Cosa gli hanno fatto?
Ricordo come si è battuto e di come tutti gli si sono accaniti contro.
E se gli hanno fatto del male?
E se non è in questa casa?

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