Capitolo 43

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Victoria.

Ho freddo e non sembro essere l'unica. Dylan continua a tenermi stretta a lui, con le braccia ben salde alle mie spalle e su di una mia gamba.
Le uniche due fonti di calore siamo noi qui, in questa stanza spoglia e neutra. I miei occhi non fanno altro che osservare il suo corpo che ormai conosco benissimo.
Mi ritrovo ad osservare le sue forti braccia strette attorno a me e mi sembra pure di riuscire a vedere quella lunga cicatrice lungo il suo braccio, nonostante sia ben coperta da una felpa abbastanza pesante.
Le sue lunghe gambe sono leggermente piegate e formano due dune perfettamente in riga con il suo corpo snello e atletico.
Vedo la sua mano salire e scendere lungo il suo braccio e ad ogni movimento sollevare un po' del suo profumo verso di me.

-stai dormendo?- mi chiede.

-no, non dormo- rispondo ammiccando un sorriso. Adesso posso abbracciarlo liberamente, senza timore che qualcuno ci possa vedere o sentire. Sanno che siamo assieme, sanno che io e lui ci amiamo e probabilmente ci faranno del male. Ho paura, davvero tanta paura.

-ancora non ci credo che ci hanno legato come dei cani..- dice tirando forte la catena che imprigiona la mia caviglia facendo un rumore pazzesco.

-shh...fermo! non fare rumore- lo rimprovero. Non voglio che vengano qui a separarci o a fare chissà cos'altro. Basta solo quello che sta succedendo adesso. Appoggia le sue spalle al letto e distende le gambe continuando ad abbracciarmi.

-ti fa male lo stomaco?- gli chiedo ripensando ai pugni che gli hanno tirato senza problemi.

-non molto, sta tranquilla- mi accarezza la guancia sorridendomi appena. Cerca di infondermi sicurezza, cerca di farmi capire che tutto andrà bene, nonostante neanche lui ne abbia la certezza. So che sotto quella stoffa avrà dei lividi, lo immagino, ne sono sicura.
Mi scosto dal suo abbraccio lasciandolo leggermente interdetto ma intento a studiare i miei movimenti. Mi alzo appena, il tempo di riuscire a mettermi sulle ginocchia di fronte a lui, afferro i lembi della sua felpa e la alzo leggermente, sempre sotto il suo sguardo curioso. Non appena la sua pelle viene a contatto con i miei occhi vedo che il suo addome è contornato da una chiazza violacea e diramata sui suoi addominali. È enorme, è viola, nera, sembra che tutti i colori più scuri e cattivi siano concentrati su di esso e i miei occhi si appannano.

È tutta colpa mia: questo è il mio pensiero.

Passo la mia mano su di esso e lui sussulta al solo tocco facendomela ritirare immediatamente, sconfitta da questa immagine. È orribile sapere che hai provocato dolore a qualcuno. E non parlo solo di dolore psichico, ma anche e soprattutto di dolore fisico.
È orribile pensare che questi lividi sono stati creati a causa mia, è orribile pensare che la persona che amo con tutto il mio cuore si trovi in questa situazione di merda solo perché ha sempre cercato di proteggermi.

-scusa, tutto questo non sarebbe successo se...- non mi fa finire di parlare.

-è tutto okay- mi da un leggero bacio sulle labbra per poi passarsi una mano sugli occhi assonnati. Lascio che la felpa torni a coprire quell'orrore e gli accarezzo la guancia solcata da una leggera barbetta che gli conferma un'aria da adulto.

-sei stanco?- gli chiedo.

-un po'- mi risponde ammiccando un leggero sorriso.

-riposati, allora- appoggio il mio mento alla sua spalla -io sto qui, non mi muovo- sollevo un pò la catena e lui sorride.

-serve a qualcosa, allora- ammicca un altro sorriso. Sorrido anche io e chiudo gli occhi assieme a lui.

****

Il resto della serata passa "tranquillamente". Passano solo per portarci da mangiare: una pizza margherita e una bottiglietta di acqua. Poi silenzio. Non so neanche che ore siano, ma mi addormento di nuovo. Questa mattina poi, tutto era nel più totale e completo silenzio. Si sentiva soltanto della musica classica provenire dal piano di sotto che rendeva tutto molto inquietate.

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