1.

24.8K 641 254
                                    

Una mano si appoggiò sulla mia gamba, quella di mio padre. Tenni le braccia incrociate e il broncio, sentii gli occhi inumidirsi.

Guardai fuori dal finestrino, eravamo arrivati.

"Lo sai che lo faccio per te" si limitò a dire.
Risi amaramente, aveva detto la più grande stupidaggine della storia.

Aprii lo sportello e lo chiusi con forza. Lui prese le mie valigie dal portabagagli e mi lanciò una veloce occhiata.

"Portami via da qui" lo supplicai, ma lui non cedette. Le mise a terra e proseguii all'ingresso. Stava per abbandonarmi in un collegio, aveva detto che mi avrebbero insegnato le buone maniere.

Solamente perché mi ribellavo a ciò che mi diceva. Uscivo e rientravo all'ora che preferivo, non stavo mai ferma. Non mi piaceva stare seduta e ricevere ordini.

Lo seguii controvoglia e mi guardai attorno: era tutto silenzioso. Sperai solo per il motivo che fosse mattina. Ci eravamo appena lasciati alle spalle un grande giardino che circondava la struttura immensa.

Era basato tutto sui colori rosso e bianco, era tutto abbastanza spazioso e illuminato. Sentii dei passi, quando mi voltai mi ritrovai faccia a faccia con una donna vestita in modo professionale. Aveva i capelli scuri e raccolti.

"Ciao April, io sono la direttrice" si presentò, mi porse la mano. La guardai per un lungo istante prima di stringergliela. Ma stetti zitta.

Non era un piacere conoscerla e non mi sarei inventata frasi per far buona impressione, ero semplicemente sincera.

"La mia assistente ti accompagnerà nella stanza dove starai da oggi, vi lascio soli per salutarvi. L'aspetto nel mio ufficio" disse rivolgendosi a mio padre. Mi sporsi e guardai alle spalle di mio padre, la sua assistente era rigida. Il suo sguardo non era attraversato da nessuna emozione.

"Fai la brava" mi disse mio padre. Mi strinse forte a se, mi baciò sulla fronte. Un gesto che mi sarebbe mancato. Mentre se ne andò mi sembrò tutto un brutto incubo, sarei voluta scappare a gambe levate.

"Papà..." provai. Ma lui mi bloccò.

"Devo andare" mi disse con un sorriso tirato. Si allontanò ancora di qualche passo, caricai il mio sguardo di odio. Sarebbe uscito da questo posto con i sensi di colpa.

"Te ne pentirai" gli promisi.

"Mi segua" mi ordinò quella donna misteriosa. Salimmo per le scale bianche, il rumore dei suoi tacchi riecheggiava.

Entrammo in un corridoio lunghissimo, c'erano parecchie stanze. Nelle pareti c'erano appesi dei quadri piuttosto allegri. Mi sarei aspettata qualcosa di più spento, monotono.

Aprii una stanza che stava più o meno al centro, era vuota. Però qualcosa mi diceva che lo era soltanto momentaneamente.

C'erano quattro letti, un armadio che occupava un'intera parete, un divano e una libreria.

"La lascio a disfarsi i bagagli, nel suo comodino trova la divisa che dovrà indossare a partire da adesso" mi fece sapere. Inarcai le sopracciglia. Avrebbe sempre avuto quel atteggiamento?

"Ah, dimenticavo. Nessun cellulare" aggiunse, mi porse la mano con il palmo aperto. Sbuffai e lo tirai fuori dalla tasca. Lo strinse, come se avesse paura che glielo avrei rubato. Mi salutò con un cenno della testa e mi lasciò sola.

RebelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora