CAPITOLO 3

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Karol sta aspettando appena fuori dallo spogliatoio.
Le mani sono unite dietro la schiena e ondeggia avanti e indietro, con un sorriso che va da parte a parte per la gioia del suo successo. Tutto perché l'allenatore gli ha dato il permesso di rimanere in palestra durante gli allenamenti dei prossimi mesi.

Un piano così stupido, eppure così brillante.
I suoi genitori lo crederanno impegnato in un club di lettura che, casualmente, ha gli stessi giorni e orari della pallacanestro per Klem. In questo modo non servirà che si presentino a scuola per partecipare a qualche evento – così come per le partite del gemello – e lui passerà quelle due ore a studiare, sdraiato sui gradoni in attesa del termine dell'allenamento.

Karol si era aspettato la reazione sbalordita del coach, ma dopo avergli detto che lui è solito concentrarsi circondato dal rumore – e che avrebbe confermato anche Klem – l'uomo non ha potuto dirgli di no, purché non disturbi.

Niente di più facile.

Appena vede Klem uscire, Karol gli va addosso, per poi filare dietro di lui e spingerlo con entrambe le mani sulla schiena.
«Devi parlare con l'allenatore.»
«Ha acconsentito?» Klem nemmeno prova a ribattere mentre si lascia trascinare verso l'uomo.
«Affermativo.»
«Quindi dobbiamo metterci d'accordo sulla balla da dire a mamma...?»
«Dopo, dopo... Ora vai da lui.»

Karol sente il gemello brontolare qualcosa, ma non se ne cura e lo lascia proseguire da solo, incrociando le braccia con aria di vittoria.

«Pensavo ci saremmo visti alla prossima partita.»
Quella voce non è così familiare da poterla riconoscerla all'istante, ma basta voltare appena il capo per scoprire a chi appartiene. Vede il compagno di squadra del fratello, quello che ha incontrato nei corridoi della scuola.

Come si chiamava?

Di nuovo ha dimenticato il suo nome, ma non può dimenticarsi di come l'abbia insultato, paragonandolo a un bambino – anche se le parole non erano esattamente quelle, l'ha intuito alla perfezione – e anche di come gli sia passata in fretta perché i suoi pensieri hanno vagato in altro.
«Invece sei qui anche oggi.»

Karol non capisce se stia cercando rogne, tuttavia lo trova arrogante con quel suo musetto ironico e il suo guardarlo dall'alto al basso. Poco importa che non può che essere così, considerando il proprio metro e sessantaquattro in paragone con l'altezza dell'altro.
Gli dà comunque fastidio da voler prendere un pallone e lanciarlo sulla sua faccia.

«Abituati a vedermi, allora.»
«Giochi a basket anche tu?» Il tono ha più dell'incredulità che altro.
Karol nega con la testa e se ne va, lasciandolo lì con la domanda a penzoloni.
Quando si gira, vede Klem con il pollice alzato, e ricambia il gesto. Corre poi sugli spalti dove ha già posato il proprio zaino e tira fuori gli appunti di scienze.


* * *


«Senti, ma che sta facendo tuo fratello?»
Mic si avvicina a Klem e gli appoggia una mano sulla spalla.
«Studia.»

Il ragazzo dai capelli ricci dà una rapida occhiata al gemello, che se ne accorge e lo saluta subito con un enorme sorriso.
«E...?» insiste Mic.
«Questioni di famiglia.»

Mic sbuffa, ma non fa in tempo ad aprire bocca che il coach interrompe il loro discorso: «Ragazzi, iniziamo il riscaldamento.»

Eh, no...

Non ha assolutamente intenzione di lasciar perdere. Non sa perché, ma è incuriosito da quella situazione stramba, perciò si mette in coppia con Klem per eseguire gli esercizi e poter indagare oltre.
«Che genere di questioni?»

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