CAPITOLO 61

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«Karol, dove sei?»
«Qui...»
Un braccio fa capolino da un angolo della stanza, debolmente, permettendo a Klem di trovarlo. «Che cosa ci fai sdraiato per terra, nascosto dietro al letto?» si lancia sul materasso, rimanendo a pancia in sotto e osservando il volto del gemello: è triste, sconsolato.

Karol non sta affatto bene da due settimane.

Scuote il capo, non ha voglia di parlare, perché è sicuro che non riuscirebbe a contenere il pianto, nonostante abbia smesso da poco. Klem sospira e abbraccia il cuscino senza staccare gli occhi azzurri dall'altro.

«Stai pensando a lui?»
Karol annuisce.
«Non dovresti.»
«Parla quello che è andato avanti con Jennifer per tutta l'estate, l'autunno, l'inverno...»
«Va bene, va bene! Non c'è bisogno di essere così puntigliosi.»

Probabilmente Klem ha ragione, tuttavia gli è impossibile non pensare a Mic. Non dopo le settimane disastrose che hanno passato e che si sono concluse nel peggiore dei modi. Sembrava stessero cambiando alcune cose, che si stessero svolgendo verso il meglio, invece, intorno a metà ottobre, è tutto precipitato.

Karol fatica a tirare un sospiro, frammentato da un gemito.
«Però,» persiste Klem, «come vedi, adesso non penso più a Jennifer, quindi accadrà lo stesso anche con te.»
«A me non va di dimenticare Mic.»
«Lo capisco bene» Klem allunga un braccio verso la testa del gemello e lo accarezza.

Non mi va proprio.

Nonostante Karol abbia il cuore lacerato, la testa abbia preso a fargli male costantemente, ogni centimetro del suo corpo gli urli di tornare indietro e fare in modo che non accada.
Sono giorni che non sta più attaccato al telefono per chiacchierare con Mic anche fino a notte tarda; sono giorni che non sente più la sua voce soffice ripetergli una marea di complimenti imbarazzanti; sono giorni che non può più gustare le sue calde labbra.

Karol si porta un braccio davanti al volto, a celare le lacrime che hanno deciso di sfuggire via. Non sa come reagire. Sebbene Klem lo stia aiutando a risollevarsi in ogni modo, non ci riesce.

Non credevo potesse esistere un dolore del genere.

Malgrado ciò, è successo perché doveva succedere.

Doveva andare così, stava diventando tutto troppo...

Sbam.

Lascia cadere il braccio sul pavimento, picchiando con la mano ben aperta e prendendo dei respiri profondi.
«Karol?»

Fissa per un attimo il fratello sopra di sé, preoccupato da morire per lui.
Deve essere strano non sentire più la sua voce squillante a tutte le ore, quella voce che adesso si è trasformata in sussurri atoni. Così come deve essere strano non vedere più il suo sorriso smagliante, non avere più discussioni totalmente infantili e tutte le abitudini che ha sempre avuto. Adesso pare solamente una copia costruita con cavi e ferro di quello che dovrebbe essere Karol.

Slitta con gli occhi sotto al letto e nota la busta che ha nascosto a Mic per quasi tre mesi – dato che ha comprato il contenuto poco dopo essere tornati dal weekend con i Drosophiller – in attesa del suo compleanno.

Il compleanno che è stato ieri e a cui non sono andato.

Non che fosse stato invitato. E, se mai fosse successo, non sarebbe andato comunque. Ha aspettato a lungo che arrivasse il 5 novembre, per poi ritrovarsi con un pugno di mosche al naso e una tristezza infinita nel cuore.
Si è smorzato l'entusiasmo di colpo.

Avrei tanto voluto vedere il suo viso nell'aprire il mio regalo.

Così come Mic ha provato quella sensazione quando è stato Karol ad aprire il suo in agosto. Il peluche a forma di gatto non è più sul suo letto, ma è riposto sopra uno scaffale, con all'interno ancora le foto. Deve ammettere che le ha sbirciate più volte, così come tutte quelle che ha sul cellulare e che non ha potuto cancellare. È stato più forte di lui. Tuttavia, ha dovuto cambiare tutti gli sfondi o non avrebbe retto l'angoscia nel rivedere Mic con lui in quel modo che non esiste più.

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