CAPITOLO 60

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Boom... boom... boom.

Mic palleggia per strada, senza guardare dove si sta dirigendo. Ci vogliono una decina di minuti per arrivare al parco, lo stesso dove ha passato molti pomeriggi di quell'estate insieme a Karol.
Sorride con malinconia, pensando di volerlo al suo fianco.
La tentazione di scrivergli è alta, tuttavia resiste.
Si dirige verso il campo da basket, trepidante di fare qualche canestro.

Menomale che non c'è nessuno...

Purtroppo si deve ricredere non appena la luce del lampione gli fa notare un'ombra seduta su una panchina. Rotea gli occhi al cielo, ma va comunque verso il campo.

Boom... boom...

Prende il pallone con entrambe le mani e inizia a tirarlo verso il canestro.
Di una cosa è ben felice: tutta quella depressione non ha influito sulle sue capacità di tiratore. Infatti, fa canestro un tiro dopo l'altro, senza mai sbagliare. Sente la tensione calare e non si rende nemmeno conto di un piccolo sorriso che gli compare in volto.

Anf... anf...

Il battito aumenta e così anche il fiato; d'un tratto è diventato un allenamento tosto e pesante, che lo spinge a correre qua e là.

«Ah, mer...»
La palla gli sfugge di mano e rotola via, oltre il campo.
Corre verso di essa e nota che quel qualcuno che ha visto sulla panchina quando è arrivato è ancora lì, con una bottiglia in mano e lo sguardo perso. Crede di sapere chi sia, ma la distanza e il buio non gli permettono di capirlo. Perciò gli si avvicina, facendo finta di niente, fino a quando non lo riconosce per davvero.

Colton.

«Ehi...» richiama la sua attenzione, mettendosi il pallone sotto l'ascella.
Gli occhi neri si spostano su di lui e Mic non può non notare un luccichio in essi, dovuto di sicuro alla birra mezza vuota nella sua mano, per non parlare dell'altra completamente scolata sulla panca.
Non riceve alcuna risposta.

È ubriaco e non mi riconosce?

Si avvicina ancora di più e Colton cambia espressione. «Ah, sei tu. Il cane da guardia.»
Mic si sta pentendo di essere andato da lui. In effetti, non sa perché l'ha fatto. «Non ho proprio voglia di litigare, quindi chiamami con il mio nome o ti tiro una pallonata in faccia.»
«Scusa, scusa, stai calmo. Non voglio litigare neanche io.»

Ma che gli prende?

È da parecchio tempo che non vede Colton, non sa neppure se sia a conoscenza di ciò che è successo a scuola, sebbene sia consapevole che sia un confidente di Karol.
Lo vede bere un altro sorso e leccarsi le labbra prima di puntare di nuovo lo sguardo nel vuoto.
Da una parte è curioso di sapere cosa gli sta succedendo, dall'altra non dovrebbe, considerando i rapporti che hanno sempre avuto.

Questo non significa che non mi possa interessare, no?

Indugia qualche istante, sfregando la scarpa contro il terreno e sistemandosi il pallone per non farlo cadere.

«Hai intenzione di stare qui ancora per molto? Anzi... cosa ci fa un ragazzino in giro a quest'ora, quando domani c'è scuola?»
«Avevo voglia di prendere una boccata d'aria.»
«Mh, interessante.»

Mic alza un sopracciglio. È talmente ovvio che non gli interessi nulla. «E tu ti stai ubriacando?»
«Probabile. Se ti offri come volontario per portarmi a casa, dopo che sarò completamente partito di testa, allora potrei anche farlo.»
Mic sente che in quella battuta, che tanto dovrebbe essere in stile Colton, vi è celato qualcosa di diverso.

Ha sicuramente qualcosa.

È sempre più curioso.
Non l'ha mai visto in quello stato, anche se, a dirla tutta, è stato piuttosto strano quando è stato abbracciato da lui; gli fa pensare che potrebbe essere qualcosa di grave.
Solo adesso nota altre birre di fianco alla sua coscia.

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