CAPITOLO 4

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Karol e Klem stanno tornando a casa l'uno di fianco all'altro, e il cielo sembra promettere neve al più presto.
Karol adora la neve. Adora lanciarsi su quella fresca, sprofondare con la faccia fino a perdere completamente la percezione dei sensi e diventare rosso all'inverosimile, si diverte da matti a lanciare palle ghiacciate a Klem mentre questo gli urla contro, perché non sopporta la sensazione di bagnato e gelo sul corpo, e gli piace ancora di più quando Klem si spazientisce e finisce per affogarlo nella neve, ridendo compiaciuto.

Si ritrova a camminare con gli occhi al cielo, un brivido lo coglie lungo la schiena, e porta d'istinto le mani in tasca per prendere i guanti. «Non ci sono!» esclama a gran voce, ribaltando la tasca e scuotendola.
Klem si arresta e si volta giusto per vedere la sua espressione terrorizzata e assurdamente esagerata. «Che ti prende?»

«Devo aver lasciato i guanti in palestra. Prima ce li avevo! Torno indietro a prenderli, tu vai avanti.»
«Cosa? Ma ormai siamo vicini a casa.»
«Non importa!» Karol sta già indietreggiando, con un sorriso angelico in volto. «Non voglio non ritrovarli più domani!» La sua voce fa girare qualche persona, incuriosita dal tono alto.

«Come vuoi tu.»
Ma Karol non lo sente, troppo lontano, ormai sta correndo di gran leva verso scuola, con lo zaino che batte sulla schiena e la testa che gli rimane attaccata al collo solo per grazia divina.


* * *


Karol arriva a scuola e gioisce nel trovare la palestra ancora aperta e illuminata, nonostante l'orario. Si ferma un secondo a riposare e si incurva sulle ginocchia a causa del fiatone.

Boom. Kreek. Boom. Boom.

C'è qualcuno in palestra a giudicare dai suoni che provengono dall'interno.
Entra e riconosce subito il ragazzo che si è ritrovato a fissare più volte nel pomeriggio. Sta palleggiando da solo e sta provando i tiri a canestro. Karol cerca di fare con più cautela possibile, mentre l'altro è voltato di schiena, immerso nei suoi esercizi.

Si sta ancora allenando...

Da una parte lo trova ammirevole, dall'altra non lo capisce proprio.
Fa piccoli passi, sperando che la scarpa non strida contro il pavimento, e raggiunge gli spalti dov'era seduto. Sale un gradone e poi un altro ancora.

Eccoli!

Vede i guanti e si china per raccoglierli.

«Ehi!»
Per poco non gli viene un infarto, e capisce di essere stato scoperto quando, voltandosi, constata che il ragazzo si sta rivolgendo proprio a lui. «Scusa, non volevo disturbare» si affretta a rispondere, si mette i guanti in tasca e salta per scendere giù.
«Oh, no. Non disturbi affatto.»
Karol nota un sorriso strano, quello che di solito si ha quando si sta per infliggere qualche tortura al proprio ostaggio.

Boom... Boom... Boom. Boomboom. Boomboomboom.

Il ragazzo abbandona il pallone, che finisce per rimbalzare in qualche angolo della palestra fino a quando non è più possibile distinguere i rimbalzi stessi, per poi fermarsi. Gli si avvicina sempre di più, e Karol capisce davvero quanta differenza d'altezza ci sia tra loro, una disparità a cui non aveva badato durante il primo incontro.
Deve sollevare il viso per poterlo guardare. Vorrebbe risalire sugli spalti, ma crede di fare una figuraccia se anche solo ci provasse, e che l'altro scoppierebbe a ridere di nuovo, insultandolo.

Il ragazzo allunga la mano destra e la lascia sospesa a mezz'aria, in attesa. «Ciao Karol, non ci siamo ancora presentati per bene.» Sorride di nuovo.
Karol si domanda come faccia a sapere il suo nome, mentre lui ci pensa da ore – e si dà dello stupido per essersi dimenticato di chiederlo a Klem – ma giunge alla conclusione che sia stato proprio il fratello a dirglielo.
Gli afferra la mano e la stringe, avvertendo con chiarezza imprimersi la sua forza.
«Sono Michael, ma puoi chiamarmi Mic» continua il ragazzo.

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