Capitolo Due

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Corro a perdifiato per le strade calde della California, le mie suole consumate producono uno strano suono al contatto con l'asfalto bollente

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Corro a perdifiato per le strade calde della California, le mie suole consumate producono uno strano suono al contatto con l'asfalto bollente. Il cielo ha assunto diverse tonalità di arancione, mi fermo fissando il sole che tramonta mentre riempio i polmoni d'aria. Siamo solo polvere al vento, gli attimi passano in fretta, attimi irrecuperabili, attimi persi per sempre e io sono stanca di sprecare così la mia vita. Sono stanca della California che non ho mai sentito come casa mia, sono stanca di mia madre e sono stanca di essere ciò che non sono. Voglio solo poter essere felice, felice per davvero.

È buio inoltrato quando raggiungo il palazzo rosa dalla vernice scrostata, il palazzo che, per tutta la vita, ho sempre chiamato 'casa' impropriamente. La verità è che non conosco il vero significato di quella parola. Sento il pranzo tornarmi su quindi corro in bagno, stringo talmente forte il lavandino che le nocche mi diventano bianche "Cazzo" borbotto osservando il disastro che ho combinato, il primo pensiero che sfiora la mia mente è 'mia madre si arrabbierà molto' ma tutto svanisce perché la mia attenzione si ripone sulla mia figura riflessa. Senza quasi accorgermene inizio a piangere, mentre fisso la mia pallida immagine. "Questa non sono io" mormoro diverse volte questa frase prima di urlarla e scagliarmi contro lo specchio, si frantuma in mille pezzi e dalle mie mani scorre il caldo sangue. Se sono così calda allora perché sento tanto freddo?

Scivolo a terra lasciandomi andare ad un pianto liberatorio, credo di non aver mai pianto tanto in vita mia. Le lacrime scorrono lungo il mio viso come un fiume in piena, andandosi a mischiare con il sangue ogni volta che, con il palmo, mi asciugo il viso. Dopo diverso tempo Afferro uno dei frammenti, quello più piccolo e lo tengo in mano, involontariamente, incido il mio palmo ma non lascio andare la superficie tagliente. Ciò che mi spaventa è che non provo dolore, non provo assolutamente nulla.

Attorciglio i capelli sulla mano sinistra e taglio poco più sopra di dove vi è posizionato il pollice. Inizio a tagliare intere ciocche nere di capelli che cadono sul lavandino. Il taglio è molto grottesco, ma non mi importa. Non mi interessa apparire carina. Creo anche una frangetta, ne ho sempre voluta una, ma ho anche sempre avuto la fronte troppo bassa secondo mia madre.

Vado in camera, da sotto il letto tiro fuori un borsone rosso, apro le ante dell'armadio ritrovandomi una serie di vestiti dai colori sgargianti. Scavo affondo fino a trovare due felpe e un paio di jeans salvati dalla voglia di buttare tutto di mia madre, li infilo nel borsone e me lo metto in spalla. Forse non arriverò tanto lontano con sette dollari, un borsone e dei capelli malamente tagliati. Ma per la prima volta sono io a decidere qualcosa.

Prendo un respiro profondo, "Sono pronta" mormoro a me stessa, forse per convincermi che questa non è una follia quando, in realtà, lo è. Apro la porta ed esco da quella casa. Non mi giro neanche una volta farlo sarebbe come dire che quella vita potrebbe mancarmi.

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