Capitolo 14

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Avevo una brutta sensazione.
Non riuscivo a stare attenta alle lezioni e non ero in generale molto presente.
Non vedevo né sentivo Occhi Verdi dalla festa a casa dell'amico del fratello di Elena.
Ormai erano passati cinque giorni.
"Giulia ma mi stai ascoltando?"
Urlò Alice che era scesa a parlare con noi durante la pausa.
Mi ero fermata a lei che diceva qualcosa con formica.
"Si che hai visto una formica!"
Dissi io sicura di quello che dicevo.
Ma vedendo la faccia arrabbiata di Alice e quelle divertite di Elena e Carola, capii che avevo detto una cavolata.
"Io non ci credo!"
Disse Alice esasperata.
"Scusami Alice veramente ma non mi sento molto bene...."
Risposi io.
Vidi Lucas alle macchinette.
Non ci pensai due volte, mi congedai con le mie amiche e gli corsi incontro.
"Ciao Lucas..."
Lo chiamai titubante.
"Ehi Giulia. Come stai?"
Rispose lui sorridendo.
"Io bene... grazie... scusa ti volevo chiedere... insomma... se sapevi qualcosa di Andreas..."
Chiesi io insicura.
Vidi Lucas abbassare gli occhi e il suo sorriso sparì.
"È successo qualcosa?"
Chiesi io allora preoccupata.
"Secondo me sarebbe meglio che tu lo chiamassi..."
Rispose semplicemente lui.
Quella sua affermazione non mi aveva né confortata né dato le risposte che cercavo, più che altro mi aveva confusa più di prima.
Lo salutai e andai ancora più pensierosa in classe.

Andreas pov.

Vuoto.
Per definire i miei pensieri questa parola era quella giusta.
Quando uno ti chiede a cosa stai pensando, capita spesso di rispondere niente.
Niente.
Ecco ancora meglio
Non provavo nulla.
Ero solo vuoto.
Quando avevano chiamato mia zia per dirle che l'edema cerebrale di mio fratello al posto di ridursi si stava ingrandendo, e che se non si fosse svegliato entro un mese ci sarebbe stata pochissima speranza; io non potevo crederci...
Non volevo e non potevo.
Vuoto.
Niente.
Niente, nel senso che non vedevo niente senza mio fratello.
Quello che avevo picchiato per tantissimi anni perché mi rubava i giochi.
Quello a cui davo sempre la colpa.
Ma allo stesso tempo quello che difendevo quando qualcuno gli dava fastidio.
Mio fratello.
Che per me era il fratello migliore di tutti.
Non poteva essere.
Non doveva essere.
Ero seduto per terra in camera mia non mangiavo e non bevevo quasi nulla, non volevo.
Non potevo.
Non se non c'era lui con me.
Ormai avevo perso la cognizione del tempo e dello spazio.
L'unica cosa  che riuscii a fare fu alzarmi da terra e andare in bagno a farmi una doccia.
Sperai che potesse aiutarmi in qualche modo, ma non fu così.
Tornai alla mia posizione precedente e dopo un  tempo che non saprei definire sentii bussare alla porta.
Non risposi.
Bussarono di nuovo.
"Zia non ho fame! Lasciami in pace!"
Urlai arrabbiato.
Non lo ero con lei.
Perché non potevo prendermela con lei.
Lei era un angelo.
Lei era praticamente nella mia stessa situazione.
Anche lei soffriva.
Ma con qualcuno dovevo pur prendermela.

Giulia pov.

Lo avevo chiamato quattro volte.
Mi sembravano abbastanza.
Dopo quasi due ore in cui pensai al da farsi, presi la mia decisione.
Presi la borsa e uscii di corsa di casa.
Presi la bici e raggiunsi casa di Occhi Verdi.
Arrivata alla porta, guardai per un attimo il campanello titubante.
Cosa stavo facendo?
Dopotutto lo avevo chiamato quattro volte e non mi aveva risposto.
Lui non mi voleva vedere.
Aveva bisogno di spazio e se eventualmente avesse voluto sentirmi avrebbe potuto anche chiamarmi.
Mi voltai.
Stavo per andarmene e forse più tardi lo avrei richiamato.
Ma di colpo la porta si aprì e uscì un uomo sulla cinquantina.
Era alto, moro e molto magro.
"Ciao."
Mi disse lui con tono interrogativo.
"Salve... ehm... scusi sono un'amica di Andreas è in casa?."
Dire che fossi in imbarazzo era riduttivo.
Lui mi guardò stranito.
"Guarda, mi dispiace. Ma ha detto categoricamente che non vuole vedere nessuno. Non ha voluto neanche vedere Lucas. Se vuoi magari passa nei prossimi giorni."
Mi disse lui con gli occhi spenti.
Una bruttissima sensazione mi pervase, non riuscivo a capire se fosse preoccupazione o delusione.
"Ehm okay va bene. Grazie."
Risposi io, facendo per andarmene.
"Aspetta Daniel! Hai dimenticato il cellulare. Oh ciao Giulia!"
Ci raggiunse Michelle.
"Salve! Signora Michelle!"
Risposi io.
"Oddio Giulia lo sai che non mi devi dare del lei, mi fai sentire vecchia."
Disse questa frase cercando di strapparsi un sorriso, ma si vedeva che anche lei in fondo era molto triste.
Ormai mi ero quasi affezionata a lei, perché ero una donna estremamente simpatica, che non perdeva occasione per farmi ridere e mettermi a mio agio.
Intanto lo zio si era già congedato.
"Okay. Allora io vado. Buona giornata."
Dissi io mentre scendevo le scale.
"No! Aspetta Giulia! Sei venuta per Andreas no? Allora perché non vai a salutarlo."
Disse lei con un piccolo sorriso.
"Ehm... ma suo...tuo marito mi ha detto che non vuole vedere nessuno. Non voglio dare fastidio."
Dissi io un po' più a mio agio rispetto a prima.
"Secondo me dovresti andare. Non dai alcun fastidio. Prova, al massimo non hai nulla da perdere."
Me lo disse con quella voce così gentile e confortante che senza riflettere troppo mi convinsi che fosse la scelta migliore.
Le sorrisi e un po' agitata salii le scale.
Non sapevo cosa aspettarmi.
Perche non voleva vedere nessuno?
Si sarebbe arrabbiato vedendomi?
Mi avrebbe cacciata?
Stava male lui forse?
Ero agitatissima.
Indugiai qualche secondo prima di bussare.
Ma non ricevetti alcuna risposta.
Provai così una seconda volta.
"Zia non ho fame! Lasciami in pace!"
Rispose lui con voce cattiva ma debole allo stesso tempo.
Sentendo ciò rabbrividì e mi sentii male per lui.
Mi girai e vidi Michelle che mi faceva segno con le mani di entrare lo stesso.
Io con mano un po' tremante aprii piano la porta.
Quello che vidi fu una camera tutta sotto sopra.
I fogli erano sparsi a terra, il comodino era rotto, gli oggetti erano tutti per terra.
Non me la ricordavo affatto così.
Era totalmente l'opposto della camera ordinata e bella che avevo visto giorni prima.
Solo quando chiusi la porta molto piano vidi Occhi Verdi nell'angolo della sua stanza, seduto per terra con la testa china.
Il mio cuore mancò un battito a quella vista.

Andreas pov.

Era entrata lo stesso.
Non mi dovevo arrabbiare, voleva solo che io mangiassi.
Sospirai lo stesso per la frustrazione.
Sentii dei passi leggeri e la porta che si chiudeva piano.
Sapevo che lo faceva per il mio bene.
Ma io non volevo mangiare.
Quando però vidii che dopo un po' di tempo, nessuno piatto veniva appoggiato a terra o sul tavolo; alzai la testa piano.
Inizialmente pensai fosse un'allucinazione.
Era Pasticcino.
Cosa ci faceva lì?
Stavo sognando?
Non la vedevo bene perché c'erano le serrande mezze abbassate.
"Ciao."
Disse lei titubante.
Io rimasi li a fissarla senza dire nulla.
Perché mi guardava preoccupata?
Perché ero felice di vederla?
Non lo dovevo essere.
Non me lo meritavo.
Se non poteva esserlo mio fratello non lo dovevo essere neanche io.
Mi sorrise debolmente.
Era bellissima.
Piano piano si avvicinò a me e mi abbracciò.
Non volevo il contatto con nessuno, ma per qualche strano motivo non ero infastidito ad averla vicina.
Il suo profumo mi inebriò le narici e mi diede una stranissima sensazione.
Per mancanza di forza non ricambiai subito l'abbraccio; ma tutto d'un colpo, come se avessi ricevuto una scossa, mi mossi: la presi e la misi su di me.
Lei si lasciò tranquillamente spostare e mi cinse il collo con le braccia.
Io la abbracciai a mia volta e misi la mia testa nell'incavo del suo collo.
Aveva un profumo buonissimo.
Lo respirai per un po'.
Poi successe qualcosa che non succedeva da anni.
Qualcosa che non pensavo avrei fatto, e sicuramente non mentre tenevo una ragazza tra le braccia.
Piansi.
Piansi sulla sua maglietta.
Proprio come un bambino a cui non vengono date le caramelle.
Ma perché non mi vergognavo?
In quel momento non mi sentivo a disagio, probabilmente il giorno dopo me ne sarei pentito, ma in quel momento mi liberai finalmente di tutto.
Lei mi strinse sempre molto forte e mi accarezzò i capelli con le mani.
Era una cosa estremamente rilassante.
Non appena finii il mio sfogo, lei fece per allontanarsi, ma io non volevo, e così la trattenni a me.
Mi alzai con lei in braccio e la appoggiai sul letto sempre tenendola stretta a me.
Non doveva andarsene.
Non poteva.
Non volevo.
Le avevo bagnato tutta la camicetta, ma non mi importava.
L'importante era che stesse lì, in quella posizione, tra le mie braccia.
E che mi facesse stare anche per un breve periodo meglio, non facendomi sentire solo, come mi sentivo ormai da troppo tempo.

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