Capitolo 12

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Andreas pov.

Stavamo studiando da circa un'ora.
"Basta non ne posso più!"
Sbuffò lei esasperata.
"Dai non le sai così male le cose. Domani studiamo ancora, ma oggi è una giornata così bella!"
Disse lei alzandosi.
"E dimmi. Dove vorresti andare?"
Chiesi alzandomi pure io e sorridendole.
"Sorpresa."
Affermò lei.
Si fermò di colpo.
"Aspetta! Ma la moto io non la so guidare. Uffa... vabeh ti darò le indicazioni strada facendo. Tanto comunque non conosci la città. Bisogna andare di là, poi a sinistra... okay ci sono! Ti muovi o no dai!"
Dissi lei tutto velocemente.
Io scoppiai a ridere e la superai correndo.
"Dai ti muovi!"
Dissi io imitando la sua voce.
"La smetti di imitare la mia voce? Non la sai fare!"
Urlò lei dietro di me.
Uscimmo velocemente di casa e raggiungemmo la mia moto.
Si sedette dietro di me e partimmo.
Non sapevo dove saremmo andati ma sinceramente tutto sarebbe stato meglio che continuare a studiare quello strazio di matematica.
Dopo esserci persi un paio di volte arrivammo finalmente alla destinazione da lei scelta.
Scesi dalla moto e la aiutai a seguirmi.
Mi guardai intorno e rimasi meravigliato dalla bellezza di quel posto.
Era un campo immenso.
I colori degli alberi erano stupendi dato che eravamo in autunno.
Moltissime foglie erano cadute e grazie al vento si spostavano in armonia.
Era meravigliosa la pace che si percepiva.
"Siamo sicuri che non sia proprietà privata?"
Chiesi io titubante.
Lei sorrise.
"Mi sono persa qualcosa? Da quando sei diventato un bravo ragazzo?"
Mi prese in giro lei.
"Infatti non lo sono. Io sono un figo e basta."
Dissi io facendo lo sbruffone.
Lei rise ancora di più.
"Dai figone siediti sul prato. Che non voglio mettere i capelli sull'erba."
Ordinò lei.
"Ah quindi sono diventato un asciugamano adesso."
Affermai io scherzando.
Mi sedetti velocemente e le feci segno di appoggiarsi sulle mie cosce.
"Bravo così mi piaci!"
Disse lei.
Non sapevo se mi piaceva di più quando era timida nei miei confronti oppure quando faceva la sbruffona.
Era come scegliere tra il gelato e la pizza.
Ci mettemmo comodi e trovai questa cosa estremamente rilassante.
"Quindi ti piaccio?"
La provocai.
Lei arrossì e non rispose alla domanda.
"Devo ammettere che sei proprio comodo."
Disse lei sorridendo.
"Lo so."
Risposi io baciandole i capelli.
Lei chiuse gli occhi e io mi ritrovai nuovamente a fissarla.
Cercavo qualcosa che potesse non piacermi ma era impossibile.
Iniziai a massaggiarle la testa.
E la vidi subito reagire in modo positivo.
"Come facevi a saperlo?"
Mi chiese lei con gli occhi chiusi.
"Sapere cosa?"
Chiesi confuso.
"Che amo i massaggi."
Disse lei con voce sognante.
"Non lo sapevo, in realtà non so molto di te..."
Affermai quasi tristemente.
"Dimmi tre cose che ti piacciono e tre cose che desidereresti avere?"
Chiesi io dopo qualche secondo continuando a farle i grattini.
"Amo il rosa antico, i cani e i romanzi d'amore. Invece ho sempre sognato di avere un marito fisioterapista, andare alle Maldive e ho sempre voluto una polaroid. Ora tocca a te!"
Sorrisi perché alcune cose me le ero immaginate che le piacessero.
Ad esempio avevo notato che usava il rosa spesso e che ogni volta che vedeva un cane faceva delle facce stranissime.
"A me piace fare i massaggi."
Risposi io iniziando a massaggiarle le spalle.
Lei chiuse gli occhi e si rilassò del tutto.
Anche se sembrava leggermente delusa dal fatto che non le avessi detto quasi nulla di me.
Stranamente non mi pesava farlo, quel massaggio era rilassante anche per me.
Rimanemmo così per un bel po' di tempo.
Poi lei ruppe il silenzio.
"Ho voglia di gelato."
Affermò lei triste, come se fosse un utopia.
"Ho visto una gelateria qui vicino, possiamo andarci anche a piedi."
Dissi io allora per accontentarla.
"Si fra un attimo ci andiamo, sto troppo bene."
Si lamentò lei accoccolandosi ancora di più a me.
Sorrisi ma sinceramente avevo anche io voglia di gelato.
Allora la presi in braccio e la misi in piedi.
"Dai sali sulle mie spalle!"
Dissi io sorridendo.
"No no ti faccio male..."
Disse lei preoccupata.
Io la guardai male.
"Giulia è passata una settimana e i lividi sono sul ventre non sulla schiena."
Risposi io sbuffando per la sua continua preoccupazione.
Mi guardò cercando di capire se stessi mentendo.
Ma veramente non mi faceva più male nulla.
Ovvio se toccavo forte i lividi provavo un po' di dolore, ma niente di grave.
Lei non se lo fece ripetere due volte e salii sulle mie spalle.
Ne approfittai per metterle le mani sotto il sedere, ma lei non ci diede troppo peso.
Arrivati alla gelateria la feci scendere.
"Uffa ero comoda..."
Si lamentò.
Sorrisi di nuovo.
Ordinammo e ci sedemmo sui tavoli.
"Quando è il tuo compleanno?"
Mi chiese lei.
"Il primo febbraio."
Risposi io guardandola.
Lei ci pensò su un attimo e poi annuii.
"Il tuo invece?"
Chiesi io.
"Il 15 ottobre."
Rispose lei sorridendo.
Non mancava troppo tempo.
Iniziammo così a parlare del fatto che lei trovasse assurdo che la gente credesse ai segni zodiacali e finimmo così i nostri gelati.
"Volete ancora qualcosa?"
Ci chiese il cameriere guardandola sorridendo.
Rimase un po' troppo per i miei gusti a guardarla.
"Per me no grazie."
Disse lei gentilmente.
"No no."
Dissi semplicemente io.
Lui non si accorse minimamente di me e ci riprovò con lei.
"Abbiamo anche delle buonissime torte se vuoi."
Le chiese come se io non ci fossi.
"Ti ha detto di no. Grazie. Siamo apposto."
Dissi io scorbutico.
Giulia mi fulminò con lo sguardo e cercò di rimediare rispondendoli cordialmente.
Si alzò da tavolo e non ci furono santi perché volle assolutamente pagare lei.
Naturalmente quello stronzo del cameriere la assecondò.
"Dai forza andiamo. Gelosone."
Disse lei ridendo.
Io la uccisi con lo sguardo e lei preoccupata iniziò a correre fuori dal bar.
Io la rincorsi.
"Come hai detto scusa?"
Le chiesi prendendola nuovamente in braccio e mettendola a testa in giù.
Tutta la gente che si trovava lì ci stava guardando malissimo, ma non me ne preoccupai troppo.
Continuava a ridere e a chiedermi di scendere.
"Ho detto andiamo figone."
Urlò lei.
La rimisi normalmente e le cinsi le spalle.
Lei si rilassò ma continuò a ridere.
"Brava."
Le sussurrai all'orecchio.
Sentii i brividi che le vennero sulle braccia.
Mi piaceva farle quell'effetto.
Raggiungemmo così la moto e ripartimmo per casa sua.
Lei mi strinse forte per tutta la durata del viaggio.
La aiutai a scendere dalla moto e le diedi un bacio sulla guancia.
"A domani Pasticcino."
Dissi io.
"A domani Andreas."
Rispose lei girandosi e incamminandosi all'ingresso.
In quel momento mi accorsi che in quella settimana mi ero legato ancora di più a lei del previsto.
E non andava affatto bene.

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