La miglior difesa è l'attacco

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Nel buio, il silenzio, veniva a trovarmi come l’amica di cui, in quel momento, avevo bisogno. Qualcuno rimaneva di guardia, anche se lo sguardo vigile faticava a sollevarsi oltre quelli assopiti. Il russare degli uomini, lo zampettare dei roditori che camminavano rasenti al muro, il ticchettio di un orologio lontano erano gli unici rumori presenti.

Nella notte, tutto si acquietava. La pace regnava sovrana.

Nell’oscurità vidi un fuoco accendersi e portare il fiammifero verso l’ombra del proprio sigaro, uno sguardo penetrante fendeva l’aria e la fiamma lasciò dietro se, una cicca che si consumava al ritmo dei respiri. Mio padre rimaneva immobile e colmava la distanza tra di noi, con il suo sguardo indagatore. Rispondevo fissandolo senza battere ciglio. Intanto, provavo a slegare il nodo che mi teneva inchiodata lì e cercavo di sfilare i miei polsi minuti dalla corda. Sentivo la pelle bruciare mentre lottavo per sfilarmela.

I miei sensi erano in guardia. Fissavo l’intera stanza attenta che, nessuno potesse ascoltare il suono assordante della mia fuga. Appena seppi di essere libera, mi assicurai che nella notte profonda, nessun passo corresse verso di me per incatenarmi nuovamente al suo destino.

Mi buttai in avanti, strisciando per terra come fanno i soldati per difendersi dal fuoco nemico. Raggiunsi Alessio. Gli sfiorai con il mio tocco la sua gamba e lui, in un dormiveglia latente, si svegliò e mi fissò perplesso. Non osavamo pronunciare alcuna parola, intorno a noi si assiepavano uomini che imbracciavano fucili, pronti a saltare sull’attenti, qualsiasi rumore li avrebbe presi alla sprovvista.

Ci avrebbero sparato senza indugiare. La miglior difesa sarebbe stato l’attacco.

Mio padre dopo aver inspirato fino in fondo la sua sigaretta si era addormentato, come era solito fare ogni sera.

Con uno stato d’animo sorprendentemente calmo e deciso riuscii a liberare Alessio. Ci alzammo silenziosamente nell’ombra e attraversammo la stanza. Raggiungemmo la porta di uscita. Abbassammo la maniglia con la speranza di ritrovarci, in un attimo, fuori da quella prigione ma invano.

Il panico si intrufolò dentro le nostre coscienze ed i nostri sguardi cominciarono a vagare in ogni angolo della casa, alla ricerca di una finestra, un’altra porta o addirittura un passaggio segreto.

L’istinto pensò al nostro posto. Ancor prima di fuggire, senza sapere dove, ancora prima di trovare un’alternativa alla nostra paura dovevamo proteggerci dal male che avrebbero potuto infliggerci gli altri. Così, velocemente e furtivamente raggiungemmo la cucina ed estraemmo dal cassetto due coltelli affilati, poi, come se entrambi avessimo avuto la medesima idea, ritornammo a recitare la parte dei carcerieri.

Ci infilammo la corda intorno ai polsi e stringemmo quel tanto che bastava a liberarci, nuovamente.

La vita segreta di CarlottaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora